Dal 2008 la spesa pubblica in conto capitale, quella che alimenta gli investimenti produttivi e dunque il motore dell'economia soprattutto a livello locale, registra un calo...
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Il guaio è che nell'eventualità, purtroppo non remota, che gli investitori stranieri tornino a dubitare delle scelte del governo, a cominciare dall'ipotesi di un rapporto deficit-Pil al 2,9% su cui l'Ue si è già detta contraria, il contraccolpo in salsa meridionale non sarebbe affatto virtuale. «Più aumenta la quota di interessi da pagare sul debito per effetto del deterioramento della fiducia sui nostri conti, meno risorse ci sarebbero per gli investimenti pubblici. E dunque anche la clausola del 34% avrebbe un plafond di riferimento più piccolo, non tale cioè da garantire l'effetto-crescita che in condizioni normali varrebbe uno o due punti in più di Pil», spiegano gli esperti di Confindustria. In altre parole, la riserva di spesa per il Sud avrebbe un impatto ben lontano da quello che ci si aspetterebbe: quasi una beffa se si considera che in tutti questi anni la mancata attuazione della norma, ribadita dalla legge sulla perequazione fiscale mai attuata, ha zavorrato le prospettive di recupero del Sud. «Oltre tutto si osserva a viale dell'Astronomia bisogna tener conto di un problema di qualità di flusso di cassa per sostenere la spesa per investimenti, al di là persino del rispetto della quota del 34%. Nel senso che a causa della forte contrazione della spesa di questi ultimi anni l'effetto svolta non c'è stato e dunque il ricasco in termini di investimenti è stato insufficiente».
Dunque, un'eventuale spirale negativa sui nostri conti con ripercussioni inevitabili sui mutui (ma non solo) equivarrebbe all'effetto della pioggia sul bagnato nelle aree più povere del Paese. Anche perché l'eventualità prospettata dal governo di destinare le risorse dei grandi progetti a un massiccio piano di manutenzione del patrimonio infrastrutturale pubblico non andrebbe in direzione del rilancio degli investimenti. E, temono le imprese, creerebbe altri squilibri nella crescita di un Paese già condizionato dalla carenza di infrastrutture.
Ma c'è' di più. Un quadro economico complicato e osteggiato dagli investitori stranieri, con un Paese tornato sulla graticola quanto ad affidabilità finanziaria, imporrebbe al governo altre scelte delicate per recuperare risorse destinate all'attuazione del suo programma. Il Reddito di cittadinanza, ad esempio: un conto è decidere di rimettere in discussione il patto con l'Ue sul deficit-Pil, spingendolo dalla previsione attuale dell'1,6% al 2,9%, un altro è trovare un'alternativa meno rischiosa per il futuro dei rapporti internazionali dell'Italia come quella di redistribuire risorse già impegnate attraverso il Fondo sviluppo coesione (un tesoro di 40 miliardi di euro, l'80% dei quali riservato al Mezzogiorno) come quelle destinate ai Patti per il Sud, in vigore dallo scorso anno in tutte le Regioni e le Città metropolitane meridionali. Nel primo caso ci sarebbero almeno 20 miliardi disponibili subito (da impegnare parte sulla flat tax, parte sul Reddito di cittadinanza) ma anche un inevitabile isolamento politico in Europa con contraccolpi economico-finanziari prevedibili. Nel secondo caso si potrebbe evitare il flop internazionale ma bisognerebbe convincere i governatori delle Regioni meridionali ad accantonare i progetti concordati con il precedente governo e almeno in parte già avviati, concernenti opere incompiute o ritenute indispensabili a livello locale, dalle metropolitane ai risanamenti ambientali: non sarà facile, a prescindere dal risvolto politico dell'operazione. Di sicuro l'Unione europea non prevede di stornare le risorse del Fesr, il Fondo per lo sviluppo regionale che finanzia la ricerca, il sostegno alle imprese e le infrastrutture, per consegnarne una parte all'Fse, il Fondo sociale che si occupa appunto di lavoro (derivano da qui le coperture per gli 8mila euro di sgravi della decontribuzione) e di formazione. Un'eventuale proposta in tal senso, su cui pure si è parlato nei giorni scorsi in ambienti di governo, sembra destinata alla bocciatura. Ecco perché il nodo degli investimenti era e rimane centrale per il Mezzogiorno: ripartire da qui non è più un'opzione ma una vera e propria necessità. Specie con l'aria che tira. Leggi l'articolo completo su
Il Mattino