La storia non finisce. Il giallo s'infittisce. E ora si aggiunge una grande contesa. Fiat-Chrysler aveva detto che Sergio Marchionne aveva un problema alla spalla. Fonti di...
OFFERTA SPECIALE
OFFERTA SPECIALE
OFFERTA SPECIALE
Tutto il sito - Mese
6,99€ 1 € al mese x 12 mesi
Poi solo 4,99€ invece di 6,99€/mese
oppure
1€ al mese per 3 mesi
Tutto il sito - Anno
79,99€ 9,99 € per 1 anno
Poi solo 49,99€ invece di 79,99€/anno
L'ospedale per la prima volta, per difendere il proprio operato fermando le «voci tendenziose dei media» che sospettano pasticci letali da parte dei dottori, emana una sorta di bollettino medico, ma post-mortem: «Sergio Marchionne era un nostro paziente. Da più di un anno si era sottoposto a diverse cure per una grave malattia». Ecco, l'ammissione: aveva un tumore Marchionne anche se i medici zurighesi - ma solo ufficialmente, perché nei corridoi del nosocomio sono molto più espliciti almeno alle orecchie di chi riesce a origliare - usano un'espressione più generica e tuttavia precisissima, «grave malattia». Durante la degenza - così prosegue la nota ospedaliera in cui si sottolinea che il silenzio finora è stato dovuto alla venerazione del diritto della privacy dei pazienti, e non solo di uno eccellente come Marchionne - «si è fatto ricorso a tutte le possibilità offerte dalla medicina di punta, ma il signor Marchionne purtroppo è deceduto. Ne siamo estremamente dispiaciuti ed esprimiamo alla famiglia le nostre più sentite condoglianze».
La famiglia è quella - al netto del papà di Manuela, la compagna di Marchionne, che l'altro giorno ha fatto intendere in tutti i modi che Sergio fosse malato ai polmoni - che non ha mai avvalorato la presenza di questo tipo di patologia. E il primo a non voler fare emergere la natura del proprio male è stato proprio Marchionne. Parlando, in occasione del ricovero il 28 giugno, di operazione alla spalla, rassicurando Fca che non si trattava di nulla di pericoloso, e dicendo: «Tra pochi giorni torno al lavoro». E invece adesso si scopre che Marchionne aveva minimizzato, non voleva spaventare Fca, non intendeva creare troppi sconquassi e se adesso l'ospedale e la famiglia duellano, Fca si chiama fuori ma con un discorso molto netto. Riassumibile così: noi avevamo creduto a Marchionne che parlava soltanto di problema alla spalla, e soltanto il 20 luglio - dopo l'intervento - siamo stati messi al corrente, da parte della famiglia, della gravità della situazione. E del fatto che il manager non sarebbe mai potuto tornare alla guida del gruppo. Questa è la cosa più impressionante. La maniera con cui Marchionne, che giusto un anno prima aveva smesso molto di malavoglia di fumare le sue 50 sigarette al giorno e che da quella data - un anno appunto, come dice il bollettino dell'ospedale universitario zurighese - veniva a curarsi in Svizzera, ha depistato John Elkann e quelli con cui condivideva la guida dell'azienda. Un modo, con ogni probabilità, più per proteggere Fca che per proteggere se stesso. E questo aspetto umano e insieme aziendale, con il mistero che lo riguarda e al netto dei dubbi di chi ritiene poco plausibile che Fca non avesse mai saputo niente prima del 20 luglio, rende la vicenda nella sua tragicità ancora più toccante. Aveva sottovalutato il male Marchionne, che pure era uno che non sbagliava mai? Era sicuro di dominare anche questa situazione, come gli è sempre accaduto per tutte le altre? Non voleva spaventare il suo mondo lavorativo e terremotare troppo la Borsa? È come se questo grande personaggio drammatico avesse voluto fare il regista di una sceneggiatura, che poi gli è purtroppo sfuggita di mano. E la sua vicenda apre una questione più generale: che cosa è tenuto a comunicare, riguardo alla propria salute, un top manager di un'azienda quotata in Borsa?
Marchionne ha scelto la via soft, quella della rassicurazione, quella della spalla, senza dare dettagli, come si legge nel comunicato Fca. E la minimizzazione può essere stata un modo per proteggere Jaki, il suo amico John Elkann, per non costringerlo a fare subito quello che sarebbe stato costretto a fare dopo. Ossia sostituirlo a causa delle terribile situazione intervenuta durante l'operazione o nella fase successiva. Su questo - che poi è fondamentale: i medici svizzeri ma per lo più tedeschi non sono stati all'altezza e sarebbe stato meglio, come dice il papà di Manuela, che Sergio fosse stato operato all'ospedale delle Molinette a Torino? - i sanitari di Zurigo restano nel vago. Anche se i fatti potrebbero essere andati così. L'intervento alla spalla - macché: con ogni probabilità alla parte apicale del polmone, con il rischio di toccare l'aorta - era stato eseguito il 28 giugno, le prime complicazioni inattese ma gestibili erano arrivate subito, ma poi il quadro clinico è diventato sempre più instabile. Da lì, il ricovero in terapia intensiva. E ora, come spesso in Italia, anche questa tragedia diventa una grande contesa e il solito mistero. Leggi l'articolo completo su
Il Mattino