Treni, autostrade, aerei: al Sud i tempi raddoppiano

Treni, autostrade, aerei: al Sud i tempi raddoppiano
Si parte. A venti anni esatti dalla riforma costituzionale che prometteva «interventi speciali» per colmare i divari infrastrutturali prende il via un’operazione...

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Si parte. A venti anni esatti dalla riforma costituzionale che prometteva «interventi speciali» per colmare i divari infrastrutturali prende il via un’operazione che, in fondo, ne è la premessa: la Ricognizione di quel che c’è. Due le scadenze di rilievo: una è dietro l’angolo e prevede appunto il censimento delle opere, da completare entro il 30 novembre; l’altra arriva tra sette mesi ed è la consegna del Piano di interventi, da presentare entro il 30 aprile del 2022. Al ministero delle Infrastrutture guidato da Enrico Giovannini se ne stanno occupando due dirigenti: Daniela Marchesi, capo del dipartimento Programmazione, con un passato in Istat proprio come Giovannini e inserita in quella casella ad aprile per volontà del ministro; nonché Giuseppe Catalano, capo della Struttura tecnica di missione per l’indirizzo strategico, nominato dalla ministra del Conte 2, Paola De Micheli. Al lavoro da qualche giorno c’è una squadra con esperti reclutati anche in altri rami dell’amministrazione pubblica.

Le regole che hanno sbloccato la Ricognizione sono in vigore dall’11 settembre 2021. Arrivano dopo molte false partenze, la prima delle quali risale al decreto interministeriale del 26 novembre 2010 - governo Berlusconi 4 - il quale fissava in soli 90 giorni i termini per individuare gli interventi da inserire nell’allegato infrastrutture. Da allora di giorni ne sono trascorsi 4.000. Anche le regole ora in vigore, però, sono a rischio modifiche perché il decreto legge (121 del 2021) è in fase di conversione e non si possono escludere ritocchi all’articolo 15, quello appunto che ripropone la Ricognizione. 

Poco più di due mesi sono pochi per censire a livello nazionale e locale tutte le strutture stradali, autostradali, ferroviarie, portuali, aeroportuali, idriche nonché sanitarie, assistenziali e scolastiche esistenti. Ma, per fortuna, non si parte da zero e la Banca d’Italia ha pubblicato a fine luglio un sofisticato dossier a cinque firme di straordinario dettaglio, dal titolo “I divari infrastrutturali in Italia: una misurazione caso per caso”. Il tema infatti non è tanto sapere che esistono binari e viadotti, ma misurarne l’effettivo servizio reso alla popolazione, per sviluppare un metodo in grado di capire in ciascun territorio cosa sia dovuto alla caratteristica del luogo e cosa sia aggiunto (o sottratto) dalle infrastrutture. 

Cosa ha fatto Bankitalia? Per i trasporti stradali e ferroviari ha calcolato per ciascun territorio (con il dettaglio dei sistemi locali del lavoro) la distanza geografica da tutti gli altri posti d’Italia, pesata per la popolazione. Com’è ovvio, i luoghi più centrali hanno una distanza dagli altri minore ma questo è, banalmente, l’effetto geografico. Lo studio ha poi verificato il tempo concretamente necessario per effettuare tutti questi tragitti, consultando l’orario ferroviario e, per le strade, il servizio Time Distance Matrix di Openroute Service. Dal confronto tra il tempo con la distanza ne viene fuori un numero indice. Se il valore è 100, la qualità delle infrastrutture stradali o ferroviarie non migliora né peggiora la situazione geografica di partenza: per percorrere 500 chilometri ci vuole il doppio del tempo rispetto a 250 chilometri. Se invece il valore supera 100, vuol dire che c’è un effetto positivo delle infrastrutture, perché accorciano l’Italia partendo da quel luogo. Quando l’indice è sotto 100, invece, le infrastrutture si trasformano in un ostacolo allo sviluppo locale, limitando quella che gli studiosi chiamano l’accessibilità al mercato potenziale. Ebbene, chi si sposta in ferrovia da Roma, Milano o Bologna dimezza i tempi rispetto a quello che sarebbe prevedibile se la qualità del servizio fosse uguale dovunque. Mentre per chi abita nelle aree interne o in Sicilia e Sardegna i tempi arrivano a raddoppiare rispetto a quelli, già per loro natura più lunghi, di chi parte da aree periferiche. Nel confronto fra macroaree, il Centro - che è per definizione avvantaggiato come posizione geografica - migliora da 100 a 104,2 con le ferrovie. Il Nord riceve dalla qualità delle infrastrutture un extra che porta l’indice in media a 108,7 mentre il Sud è appesantito da un ritardo di infrastrutture ferroviarie che fa scendere l’indice a 91,5. Attenzione: se l’indice del Sud fosse 100, non vorrebbe dire che i tempi di trasporto sarebbero gli stessi della pianura Padana, ma che sarebbero quelli giusti in rapporto alla situazione geografica, senza l’aggravio di infrastrutture inadeguate rispetto allo standard nazionale. 

In tema di trasporti, i divari più forti si registrano per il trasporto merci e passeggeri via aerea. Qui Bankitalia si concentra sui 36 aeroporti di interesse nazionale, pesati in proporzione al traffico; quindi misura per ciascun territorio i tempi necessari per raggiungere tutti gli scali: più è lungo il tempo, meno utile è quello scalo. Per i passeggeri, il Nord e il Centro si posizionano oltre i 130 punti mentre il Sud si ferma a 60. E per le merci il divario è ancora maggiore con un valore di 170 al Nord e di 35 al Sud. Stare al Nord, in pratica, è da due a cinque volte più vantaggioso dal punto di vista dei trasporti aerei. Tradurre tali numeri nel Piano da scrivere entro il 30 aprile 2022, cioè in binari da costruire, treni da far circolare, aeroporti da attivare, non sarà facile. Ma neppure è possibile continuare a fingere che imprenditori e cittadini del Sud siano nelle medesime condizioni di partenza di tutti gli altri e che se le cose vanno peggio la responsabilità sia dell’indole, del clima o di qualche altra tesi semplicistica. 

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Il Mattino