Pensioni, come funziona: l'assegno sarà più basso ma niente penalizzazioni

Pensioni, come funziona: l'assegno sarà più basso ma niente penalizzazioni
Ma il superamento di Quota 100 attraverso il sistema delle quote anti-scalone (102 e 104 e forse anche 103, se le indiscrezioni di queste ore venissero confermate)...

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Ma il superamento di Quota 100 attraverso il sistema delle quote anti-scalone (102 e 104 e forse anche 103, se le indiscrezioni di queste ore venissero confermate) comporterà penalizzazioni sull'assegno di pensione anticipata? È uno dei temi su cui esperti, politici e sindacati si sono espressi a più riprese, pur nella consapevolezza anche questa più volte ribadita, per la verità che le cose non cambierebbero. Ovvero, che l'approvazione di Quota 102 e 104 (ed eventualmente anche di 103) non comporterebbe alcun tipo di penalizzazione: si seguirebbe infatti lo stesso principio di Quota 100. L'assegno di pensione però sarà inevitabilmente più basso se minore risulterà il cosiddetto montante retributivo (considerata l'uscita anticipata): saranno sicuramente più bassi se paragonati a quelli riconosciuti per la pensione di vecchiaia.

Nella tabella compilata a cura del patronato regionale Ital Uil della Campania, che riassume i punti salienti dell'attuale confronto sul superamento di Quota 100, si fa riferimento (nella parte bassa) a questo tipo di scenario, prendendo in esame l'uscita anticipata di un lavoratore pubblico e di uno privato, ovviamente in possesso dei requisiti previsti. Il nocciolo della questione sta nel calcolo del cosiddetto tasso di sostituzione (il rapporto tra la prima pensione e l'ultimo stipendio percepito prima del pensionamento: chi esce prima dal lavoro avrà ovviamente una rendita previdenziale minore e quindi un tasso di sostituzione più basso) e nell'impatto del regime contributivo che dall'1 gennaio 1996 è diventato assoluto, sostituendo cioè in toto il sistema retributivo. Morale: si va in pensione con assegni più bassi. E qui iniziano i guai almeno per quanti e non sono certamente pochi non avranno la possibilità di accumulare più contributi e nemmeno di poter contare su carriere esaltanti (un quadro aziendale che diventa dirigente, ad esempio). Autonomi e commercianti rischierebbero di più, a meno che non venga rivisto nei tre anni che dovrebbero sperimentare l'applicazione delle quote (dal 2022 al 2024) l'intero sistema previdenziale, ipotesi peraltro da non scartare perché ad essa è collegata l'esigenza di equilibrio generazionale su cui i giovani chiedono giustizia e rispetto. 

Facciamo qualche esempio: coloro che hanno una retribuzione annua lorda di 30mila euro con 1.650 euro di retribuzione netta mensile, in caso di pensione anticipata perdono tra i 40 ed i 160 euro al mese rispetto all'assegno pensionistico pieno (a seconda del fatto che l'uscita anticipi di 1 o 5 anni l'età richiesta). Chi ha una retribuzione annua lorda di 40mila euro con 2.050 euro di retribuzione netta mensile perde tra i 60 ed i 180 euro al mese rispetto all'assegno pensionistico pieno (a seconda del fatto che l'uscita anticipi di 1 o 5 anni l'età richiesta). Chi invece incassa 50mila euro lordi, con 2.387 euro mensili, perde tra i 100 e i 210 euro, a seconda che decida di anticipare il proprio pensionamento di 1 o 5 anni. 

Se invece parliamo di lavoratori giovani, la situazione è completamente (o quasi) diversa: il loro assegno di pensione, stando alle regole attuali, sarà molto più condizionato dal procedere della carriera lavorativa, nel senso che considerate le incognite a medio e lungo termine su crescita e sviluppo economico (al metto del rimbalzo di questo scorcio del 2021) è forte per loro il rischio di un cammino tutto in salita nella parte finale, quella cioè più vicina alla pensione. Il rischio molto alto di finire in Naspi o in Cassa integrazione riduce in maniera sensibile il corrispettivo contributivo e a quel punto la pensione sarà decisamente più bassa visto che, come abbiamo detto, dall'1 gennaio 1996 si calcola solo in base al sistema contributivo. Il primo campanello d'allarme, quello che molti esperti chiamano la gobba previdenziale, suonerà nel 2030 perché faranno 35 anni dal contributivo e dunque si determineranno le condizioni per andare in pensione anticipata. A complicare ulteriormente le cose è stata anche la soppressione del cosiddetto trattamento minimo, che in passato, con il vecchio sistema retributivo, veniva garantito a chi aveva lavorato 20 anni: per i giovani non è previsto. Le norme attuali infatti garantiscono l'integrazione al pensionato quando l'importo della pensione, calcolata in base al montante dei contributi versati, ha un importo inferiore a quello che viene considerato il minimo vitale e che corrisponde a 515 euro. Per i giovani lavoratori, figli del sistema contributivo totale, non è prevista alcuna integrazione fatta eccezione per chi ha utilizzato l'opzione donna. 

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È il tema dei temi, quello della previdenza per i giovani e nonostante i ripetuti impegni del governo a considerare le nuove generazioni come il vero obiettivo delle politiche di ripartenza del Paese, i dubbi su come affrontarlo e risolverlo restano. Per ora, oltre tutto, se ne continua a parlare poco mentre nessuno ha ancora smentito il calcolo della Cgil a proposito del fatto che a beneficiare di quota 102-104 nei prossimi 3 anni sarebbero al massimo 10mila lavoratori. In ogni caso i soli nati nel 1958 e precedenti visto che quelli nati successivamente non arriveranno mai a 102, 103 e 104 entro il 2024. Insomma, la contingenza imposta dalla politica sembra avere rinviato a data da destinarsi lo scoglio più complicato, certo, ma anche più importante: come se non fosse già oggi un allarme sociale il rischio che un giovane andrà in pensione (se non farà una carriera brillante) con un assegno di pensione pari al 60% dello stipendio, ben il 20% in meno dei suoi genitori.

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Il Mattino