I numeri, a leggerli, eviterebbero tante discussioni oziose. Come quella, ripetuta a litania, del Sud che non fa il suo dovere dal punto di vista fiscale ed è quindi...
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LE ALIQUOTE
E qui c'è un primo aspetto da rilevare. Il Mezzogiorno, infatti, non ha sempre pagato più tasse del Nord (in proporzione alla propria ricchezza) ma anzi in passato c'era un sensibile differenziale a carico dell'area più ricca, pari a ben cinque punti percentuali nel 2000-2001. I Conti pubblici territoriali sono piuttosto noiosi perché fotografano una realtà costante nel tempo. Ogni anno si certifica una spesa per abitante che favorisce i residenti al Centronord, ogni anno si conferma una quota di investimenti ordinari nel Mezzogiorno inferiore alla popolazione residente (il 34%), ogni anno sappiamo che le Ferrovie dello Stato sono venute meno all'obbligo di investire nelle regioni meridionali una quota proporzionata ai residenti o alla superficie. Sulla pressione fiscale invece si registra, nei due decenni osservati, un cambiamento. Il Mezzogiorno partiva da una condizione di minore pressione fiscale. Non deve stupire, perché il sistema tributario italiano è «informato a criteri di progressività», cioè chi guadagna il doppio non paga il doppio di tasse ma di più perché scattano via via aliquote più elevate, che per l'Irpef salgono dal 23% al 43%. Quindi non ci sarebbe da stupirsi se in un territorio dove prevalgono redditi tassati al 23% si versino nell'insieme meno imposte di un altro dove non sono rari guadagni superiori e quindi aliquote più pesanti. Ma questa situazione «prevedibile» ha cambiato di segno a partire dal 2011 e ormai sistematicamente (il 2018 è il quinto anno consecutivo) a pagare più tasse e contributi sono i meridionali.
Cos'è cambiato dopo il 2010? In tema di fisco, i fatti sono noti: è partito il federalismo fiscale con le addizionali comunali e regionali e con l'Irap differenziabile per regione. In cambio delle leve fiscali, gli enti locali hanno perduto i trasferimenti. Un fenomeno nazionale ma nel Mezzogiorno, dove i redditi sono appunto inferiori, per contenere i tagli Comuni, Province e Regioni hanno alzato quasi sempre al massimo le aliquote, con il risultato che la progressività voluta dalla Costituzione all'articolo 53 si è capovolta e ormai chi ha di meno paga (in proporzione) di più. Un esempio? Chi fa impresa in Lombardia versa di Irap il 3,90% mentre in Campania il 4,97% (un quarto in più). Persino fare banca o assicurazione in Campania ha un peso fiscale maggiore (rispettivamente 5,72% e 6,97% contro 5,57% e 6,82% della Lombardia). A Napoli un contribuente con un reddito di 20mila euro versa di addizionale Irpef 160 euro (0,8%) mentre a Milano con lo stesso reddito zero, è esente. E ancora: per l'addizionale regionale Irpef un contribuente della Lombardia paga con l'aliquota massima, cioè oltre i 75.000 euro di imponibile, l'1,74% mentre in Campania chi dichiara dieci volte di meno, cioè 7.500 euro, versa il 2,03%. Insomma: il federalismo fiscale ha portato un ribaltamento nel peso delle imposte, aggravato dalla accentuata flessione del Pil nel Mezzogiorno; ma ciò non è percepito dalle persone, dai commentatori, dai politici i quali in automatico continuano a credere che si sia un'area del paese che non fa fino in fondo il proprio dovere ed è palla al piede di qualcun altro.
IL SOMMERSO
E l'evasione? L'evasione fiscale non è forse maggiore nel Mezzogiorno? In valori assoluti no, ma questo è ovvio perché si evade di più dove ci sono più soldi da nascondere. Tuttavia, rispetto al prodotto, è vero che l'incidenza del nero o come dicono i tecnici della «economia non osservata» è superiore nei territori meridionali. Ma questo, purtroppo, appesantisce ancora di più la pressione fiscale sui contribuenti meridionali corretti. L'Istat infatti quando fa la stima del prodotto interno lordo considera anche l'evasione fiscale e ciò per precisi obblighi europei. L'Ue infatti fa pagare i contributi al funzionamento della macchina comunitaria in proporzione al Pil perciò pretende che il Pil comprenda anche le attività in nero o quelle tradizionalmente non tassate, come la prostituzione. Se così non fosse, in effetti si potrebbe affermare che la pressione fiscale nel Meridione «sembra» alta perché il Pil ufficiale è piccolo, mentre rispetto alla ricchezza «reale» del territorio le tasse pagate dai meridionali sarebbero poca cosa. E invece l'obiezione, tesa a riconfermare il pregiudizio del Sud inadempiente, va respinta al mittente. Il Pil comprende il nero e la quota di sommerso del Mezzogiorno è superiore a quella del resto d'Italia. Per cui se si depurasse il Pil meridionale del nero, il peso fiscale e contributivo sulle persone e imprese corrette schizzerebbe al 59%. Al Nord ci sarebbe un effetto simile, perché ovviamente anche lì c'è la tendenza a nascondere i redditi all'erario, tuttavia la pressione fiscale sugli onesti salirebbe «solo» al 52%. Se proprio vogliamo cercare chi in Italia tira la carretta più degli altri la risposta è in due parole: i meridionali onesti.
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Il Mattino