Il governo punta a un maxiricambio generazionale con Quota 100: chi esce con il pensionamento anticipato - e potrebbero essere oltre 600mila da qui a 3 anni - verrà...
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A ben guardare capiazienda e responsabili delle risorse umane nutrono seri dubbi sull'esito dell'operazione Quota 100. Il 46% degli interpellati è convinto che quasi la metà dei dipendenti con i requisiti per uscire, alla fine, non presenterà domanda di prepensionamento. Le motivazioni sono varie: intanto per via delle penalizzazioni (fino al 20%) sul futuro assegno legato al ricalcolo con il metodo contributivo, senza contare che le condizioni di vita sopra i 60 anni (vuoi dal punto di vista economico o di quello della salute) migliorano via via con il tempo e rendono meno duro restare al lavoro.
Ma di converso le imprese non faranno neppure le barricate per tenere con loro gli addetti che per ragioni anagrafiche e responsabilità sono più esperti e hanno maggiori conoscenze. Infatti il 75% dei manager intervistati ritiene che «il processo di prepensionamento tramite Quota 100 non possa nuocere in termini di competenze uscenti». Di più, il 67% delle aziende «non crede che sarà utile per svecchiare» il sistema produttivo italiano. Vista la crisi, il 61% aggiunge di non avere «in previsione l'inserimento di consistenti numeriche di giovani laureati». Mentre soltanto il 15% delle realtà imprenditoriali italiani sta mettendo in campo selezioni mirate e finalizzati a sostituire i pensionandi.
Guardando in filigrana queste tendenze raccolte da Future Manager, è facile ipotizzare che le imprese italiane non vedano le condizioni economiche per reclutare nuovo personale. Contemporaneamente non si stracceranno le vesti, se perderanno lavoratori over60, spesso con stipendi alti e poca dimestichezza con le nuove tecnologie. In fondo, questi concetti li aveva anticipati l'ex presidente dell'Inps, Tito Boeri, facendo notare che il grosso delle domande di uscita arrivate finora riguarda disoccupati, bloccati dalla Fornero, quindi gente già fuori dal mondo del lavoro. Durante le audizioni in Senato, Pierangelo Albini, direttore dell'area lavoro e welfare di Confindustria, ha spiegato che «non esiste alcuna evidenza empirica che indichi che ogni lavoratore che va in pensione può essere sostituito da un giovane». Quindi, guardando al «rallentamento dell'economia» in atto, ha aggiunto che «non è da escludersi che vi possano essere situazioni in cui l'impresa incorra in processi di riorganizzazione o di trasformazione dei processi produttivi, incidendo così sul saldo occupazionale». Leggi l'articolo completo su
Il Mattino