Recovery plan, accordo per altri 20 miliardi al Sud con i fondi nazionali

Recovery plan, accordo per altri 20 miliardi al Sud con i fondi nazionali
Venti miliardi in più di investimenti nel Mezzogiorno in aggiunta a quelli europei, utilizzando risorse nazionali del Fondo sviluppo coesione, destinate all'80 per...

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Venti miliardi in più di investimenti nel Mezzogiorno in aggiunta a quelli europei, utilizzando risorse nazionali del Fondo sviluppo coesione, destinate all'80 per cento al Sud. L'ultima bozza del Recovery Plan messa a punto da Palazzo Chigi recepisce le indicazioni del ministro per il Sud Peppe Provenzano, presente non a caso al tavolo promosso ieri dal premier Conte con i ministri Gualtieri e Amendola per mettere a punto la nuova impostazione del documento. Venti miliardi su progetti aggiuntivi, a quanto pare, e non sostitutivi di altri già esistenti, sempre nel rispetto della ripartizione territoriale (80% al Sud, 20% al resto del Paese) della politica di coesione. Si tratta, in parole povere, di un anticipo di programmazione dell'Fsc (in totale per il ciclo 2021-2027 sono 73 miliardi) che l'attuale governo ha incrementato non poco l'anno scorso, recuperando in parte i ritardi accumulati dai governi precedenti.

Progetti aggiuntivi vuol dire progetti non ancora programmati e finanziati. Ad esempio per quanto concerne la mobilità e i trasporti, si prevedono investimenti per ulteriori 5 miliardi per la statale Jonica, l'ammodernamento di linee ferroviarie regionali di Rfi, l'upgrading delle stazioni ed altri obiettivi, tutti indicati dal ministero dei Trasporti e non compresi tra quelli (sarebbero in totale 19) già recepiti dal Recovery Fund. Nel contempo il governo avrebbe confermato il principio che nel Piano nazionale di ripresa e resilienza, che farà da cornice agli investimenti europei, ogni missione dovrà rispettare l'allocazione territoriale al Sud. II che vuol dire che non si potrà scendere mai sotto il 34% (e questo in fondo lo si sapeva già) ma nel contempo che si dovrà tenere conto per ogni asset del ritardo del Mezzogiorno e dunque prendere atto della necessità di ridurlo o azzerarlo con un'adeguata allocazione di fondi. È l'impostazione che lo stesso Provenzano aveva anticipato al Mattino e che ora sembra essere stata accettata da Palazzo Chigi.

No dunque ad un'assegnazione a monte pari al 50% almeno, come richiesto a gran voce da tutti i governatori delle Regioni meridionali e dalle associazioni meridionalistiche, e in forma un po' più sfumata dall'intergruppo dei parlamentari meridionali di tutte le forze politiche (compresa la Lega). Ci sarà sicuramente un incremento di fondi per alcuni asset (la sanità, la scuola, la ricerca) che nelle prime bozze del Pnrr erano stati oggettivamente sottodimensionate in chiave Sud ma l'impostazione generale del Piano non sarebbe stata stravolta anche se è proprio per il ritardo del Sud che l'Italia ha potuto beneficiare della maggiore quota di risorse europee.

Lo si capirà meglio oggi, quando il documento verrà reso noto. Di sicuro, i 20 miliardi di investimenti aggiuntivi marceranno insieme a quelli del Recovery Plan sfruttando il fatto che possono essere spesi subito e liberamente. Subito, perché sono come detto un anticipo della programmazione del Fondo sviluppo coesione che risulta già appostato nelle annualità di Bilancio dalla manovra 2021, con i primi 50 miliardi. Liberamente, perché si tratta di risorse svincolate dagli obblighi previsti da Bruxelles per gli investimenti finanziati dal Next Generation Eu (entro tre anni gli impegni di spesa, entro sei anni il completamento delle opere, altrimenti non ci sarà alcun rimborso). E inoltre non contribuiranno a creare altro deficit, come invece accadrà inevitabilmente per quelle che l'Italia prenderà in prestito dall'Ue.

I 20 miliardi in più, inoltre, non vanno confusi con la rimodulazione dei finanziamenti per progetti già in corso di svolgimento che il governo ha intenzione di attuare per liberarne l'equivalente in risorse europee su altri obiettivi. Emblematico il caso dell'Alta velocità ferroviaria Napoli-Bari il cui completamento è previsto entro il 2026, l'anno limite indicato dall'Ue per ultimare i progetti che accedono al Recovery Fund. L'Italia potrà sostituire le risorse nazionali già impegnate con quelle europee del Recovery, mantenendo la territorialità delle stesse e rafforzando il rispetto delle scadenze. Di sicuro, come detto, il Pnrr ultima edizione non dovrebbe modificare di molto l'impianto originario anche perché, come spiegano fonti di governo, «i paletti imposti dall'Ue alla spesa delle risorse comunitarie vanno rispettati alla lettera, pena lo stop di Bruxelles. E tra questi paletti figurano le ingenti somme che dovranno essere riservate alla transizione green e all'innovazione digitale, circa il 60% del totale».

Sotto quest'ultimo profilo va segnalato che il governo avrebbe già deciso di ridurre la quota destinata agli incentivi di Industria 4.0, che rimane finora la frontiera più avanzata dell'innovazione digitale delle imprese in Italia. In linea di massima potrebbe essere una buona notizia per il Mezzogiorno, visto che le risorse in questione sono decisamente più appetibili dal sistema produttivo del Nord (al Sud non si è andati finora oltre un generoso 20%, in base almeno ai report sull'approccio a questi fondi anche prima del Recovery Fund). I nuovi investimenti disponibili sarebbero spalmati soprattutto su sanità e infrastrutture e dunque potrebbero contribuire a colmare storici ritardi delle regioni meridionali. Resta però da capire come il Sud si potrà avvicinare ai livelli di innovazione digitale.

E tra i nodi da sciogliere, ovviamente, ci sono anche o forse soprattutto quelli politici, dalle scelte di Italia Viva al rapporto con le Regioni del Sud. Basteranno i 20 miliardi aggiuntivi a raffreddare tensioni e polemiche? 

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Il Mattino