Reddito di cittadinanza, bar, ristoranti e alberghi faticano a trovare personale: i giovani preferiscono i sussidi

Reddito di cittadinanza, bar, ristoranti e alberghi faticano a trovare personale: i giovani preferiscono i sussidi
C’è l’euforia per le riaperture. C’è la speranza di riuscire a recuperare quanto più possibile in termini di fatturato perso. Ma...

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C’è l’euforia per le riaperture. C’è la speranza di riuscire a recuperare quanto più possibile in termini di fatturato perso. Ma c’è anche il timore di non trovare il personale adatto. Anzi, di non trovarlo per niente. É un giorno di festa questo primo giugno 2021 per la stragrande maggioranza di ristoranti, bar, agriturismi, alberghi. «L’ultima cena a ristorante risale al 25 ottobre 2020, oltre sette mesi fa» sottolinea Aldo Cursano, vice presidente vicario Fipe Confcommercio, nonché proprietario di due ristoranti e un bar a Firenze. Ma non sono tutte rose e fiori: in tanti sono costretti a fare i conti con la carenza di personale. A conti fatti secondo la Fipe mancano almeno 160.000 lavoratori nel settore, di cui 120.000 con contratti a tempo indeterminato e 40.000 stagionali. Cursano personalmente per le sue attività non è riuscito a trovare otto dipendenti sui 38 che impiegava in epoca pre-Covid: «Mi manca personale in sala, in cucina e anche qualcuno che accolga bene i clienti. E così ho deciso: un ristorante lo apro solo a pranzo e uno solo la sera» dice. 

Eppure le statistiche ci dicono che la disoccupazione è aumentata, in un anno hanno perso un contratto di lavoro quasi novecentomila persone. L’altro giorno il governatore di Bankitalia, Ignazio Visco, all’assemblea annuale ha ricordato che l’Italia è il paese europeo dove i Neet, ovvero i giovani che non lavorano e non studiano, sono oltre tre milioni. In teoria ci sarebbe dovuta essere la fila di aspiranti camerieri e chef davanti alla saracinesche di chi stava per riaprire. «Moltissime professionalità hanno perso fiducia nel settore, in 120.000 si sono licenziati per ottenere il Tfr perché con la cig non ce la facevano a vivere. La mancanza di programmazione sulle riaperture ha spinto chi poteva a cercare altrove. Alcuni dei miei sono andati a fare la stagione in Grecia, altri si sono ricollocati nei supermercati» rivela Cursano. Il resto lo ha fatto e lo fa il reddito di cittadinanza: per molti imprenditori è un potentissimo incentivo a non accettare lavori stagionali con regolare contratto. Soprattutto quando si parla di lavori non particolarmente qualificati, che di conseguenza hanno stipendi relativamente bassi. «Un cameriere o un facchino in hotel guadagna circa 1.100 euro al mese, magari ne prende 750 con il reddito di cittadinanza. Soprattutto se il contratto proposto è stagionale, ti risponde che non vale la pena. A quella cifra ci arriva facilmente con qualche lavoretto in nero» dice Bernabò Bocca, presidente di Federalberghi. Una situazione - rivela - che sta diventando abbastanza preoccupante nel Mezzogiorno. Che poi è l’area del Paese dove il reddito di cittadinanza è più diffuso.  

Secondo l’ultimo bollettino Anpal i giovani fino a 29 anni di età rappresentano la fetta maggiore dei beneficiari del reddito di cittadinanza che hanno stipulato il patto per il lavoro: il 38,5% a livello nazionale con punte del 40,4% nel Sud. Stiamo parlando, a livello nazionale, di oltre 406.000 giovani (su una platea di un milione e 56.000 soggetti occupabili). In sette mesi (i dati si fermano ad aprile 2021) gli under 29 che prendono il sussidio sono aumentati di ben cinque punti percentuali (erano il 33,4% del totale a settembre 2020). Il report sottolinea che siamo di fronte a una «utenza particolarmente fragile. Oltre il 72% dei beneficiari a livello nazionale presenta un titolo di istruzione di livello non superiore all’istruzione secondaria di primo grado con punte sino al 73,7% nelle regioni del Nord-Est e del 75% nelle Isole». Certamente quindi non hanno le competenze per stare alla reception di un hotel con clientela internazionale, dove la conoscenza di più lingue è indispensabile. Ma il fatto è che - dalle lamentele degli operatori - non si trovano nemmeno camerieri semplici o lavapiatti. 

Accade anche in campagna, sia nelle aziende agricole che negli agriturismi. In questo ultimo caso sono 24.000 le strutture sparse in tutto il territorio nazionale che guardano alle riaperture e alla stagione estiva con grandi speranze, dopo il crollo di oltre il 60% registrato nell’ultimo anno. Le prenotazioni in agriturismo stanno arrivando, fanno sapere soddisfatti da Turismo Verde, l’associazione per la promozione agrituristica di Cia-Agricoltori Italiani. Tra ristorazione, centri estivi e attività all’aperto collegate il comparto per marciare a pieno regime ha bisogno di centomila addetti. Molti però non si trovano. «Reddito di cittadinanza e reddito di emergenza non spingono i lavoratori italiani a cercare un lavoro in queste aziende, perché temono di perdere il sussidio per un contratto di pochi mesi» osserva Danilo De Lellis, che in Cia è il responsabile politiche del lavoro. Già nel 2020 il 15% delle cooperative agroalimentari ha registrato un calo di organico e di giornate lavorative.  

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Il Mattino