Via la regola del 3%. Sostituita da un «deficit dinamico», pari ogni anno all’andamento del Pil nominale, ossia la crescita reale più l’inflazione....
OFFERTA SPECIALE
OFFERTA SPECIALE
OFFERTA SPECIALE
Tutto il sito - Mese
6,99€ 1 € al mese x 12 mesi
Poi solo 4,99€ invece di 6,99€/mese
oppure
1€ al mese per 3 mesi
Tutto il sito - Anno
79,99€ 9,99 € per 1 anno
Poi solo 49,99€ invece di 79,99€/anno
Il «Piano Savona» per l’Europa, il documento di 30 pagine redatto dal ministro delle Politiche Comunitarie (e anticipato dal Messaggero), è stato reso pubblico ieri. In realtà Paolo Savona lo ha trasmesso il 7 settembre alla rappresentanza permanente presso l’Ue guidata dall’ambasciatore Maurizio Massari, chiedendo che il documento fosse trasmesso subito al presidente della Commissione europea Jean Claude Juncker. Eppure, secondo fonti di Palazzo Chigi, questo passaggio non sarebbe avvenuto, creando una forte irritazione dello stesso Savona che avrebbe investito della questione il premier Giuseppe Conte.
Fonti diplomatiche, invece, sostengono di aver inviato il documento non appena ricevuto al gabinetto di Juncker. Non è ancora chiaro quale sia stato il cortocircuito, visto che il presidente della Commissione non lo avrebbe visionato.
L’IRRITAZIONE
Il documento di Savona, comunque, non ha deluso le aspettative. Molti dei temi trattati sono quelli analizzati e discussi da anni dal professore sardo. Come quando spiega che il governo italiano richiede uno specifico impegno sugli investimenti «capaci di creare economie esterne alle imprese e benessere sociale», come «strumento indispensabile per una maggiore crescita del reddito e dell’occupazione». C’è la richiesta di una scuola europea che formi gli europei. E che alla Banca centrale europea vengano assegnati i compiti di prestatore di ultima istanza e le leve sul cambio. Per Savona la politica dell’austerità va superata con una «politica tributaria standardizzata a livello europeo», che «contribuirebbe a stimolare un più corretto e più equo sviluppo economico e sociale». E soprattutto che se non agisce «una politica fiscale comune per l’immigrazione, non resta altro che chiudere le frontiere marittime e terrestri, rinunciando a difendere i valori di solidarietà umana» dell’Europa.
LA PROPOSTA
Ma le proposte che più faranno discutere restano quelle sul debito e sul deficit. «Se i timori dei paesi membri creditori che ostacolano la definizione di una politica fiscale fossero dovuti al rischio temuto da alcuni paesi di doversi accollare il debito altrui», spiega Savona, «esistono le soluzioni tecniche per garantire che ciò non avvenga. Si tratta», prosegue il ministro, «di attivarle in pratica effettuando scelte politiche, come quelle di concordare un piano di rimborsi a lunghissima scadenza e ai tassi ufficiali praticati, fornendo una garanzia della Bce fino al rientro nel parametro del 60% rispetto al Pil, in contropartita di una ipoteca sul gettito fiscale futuro o di proprietà pubbliche in caso di mancato rimborso di una o più rate. Ossia», sottolinea, «decidere quello che si sarebbe dovuto fare prima dell’avvio dell’euro. Ovviamente tra le clausole di un siffatto accordo vi sarebbe anche quella che il disavanzo di bilancio pubblico si collochi in modo dinamico».
Il deficit, insomma, dovrebbe essere ogni anno fissato al livello del Pil nominale.
Il Mattino