Patrizia De Luise, presidente di Confesercenti, aspetta a cantare vittoria. «Devo dire che già in campagna elettorale gli attuali vicepresidenti Di Maio e Salvini...
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I CONSENSI
Infatti la fine della liberalizzazione degli orari in questo Paese piace a quasi a tutti: alla Chiesa, ai sindacati e alle associazioni datoriali dei piccoli. Protestano soltanto i grandi. Maurizio Gardini, presidente di Confcooperative, non sa se ridere o piangere: «Non pensavo che la principale emergenza fosse l'apertura dei negozi la domenica».
Che la linea fosse questa l'aveva indicato proprio Luigi Di Maio in tempi non sospetti, quando circa un anno fa aveva sentenziato: «Tutti hanno il diritto al riposo, anche quelli che posseggono o gestiscono esercizi commerciali». Concetto ripetuto in questi mesi dal leader pentastellato, ma anche dal collega Matteo Salvini, ogni qualvolta i due avevano fatto capolino a un incontro con le associazioni (come Confcommercio e Confartigiani) di rappresentanza delle Pmi. La proposta, che ricalca quella di Confesercenti, prevede che i Comuni - ma non quelli turistici - possano decidere nei giorni festivi e nelle domeniche di tenere aperti non oltre il 25 per cento dei negozi per ciascun settore merceologico. Il blocco riguarda anche le vendite online. Ma soprattutto il disegno di legge dispone che la materia torna di competenza degli enti locali. Ed è questo che spaventa di più la grande distribuzione.
I SINDACI
Spiegano da Federdistribuzione: «L'ex premier aveva legiferato perché diceva che la concorrenza è materia dello Stato centrale. Ora si torna indietro, perché far regolamentare ai sindaci sulle domeniche, vuol dire che avremmo anche a poca distanza orari a macchia di leopardo, ognuno farà quello che vuole. Poi, è chiaro che i sindaci finiranno di premiare e tutelare le aziende del territorio, a scapito dei consumatori - ogni domenica circa 12 milioni di consumatori fanno acquisti - e delle aziende che più assumono».
A ben guardare la questione non va letta soltanto in chiave prettamente economica, ma strategica. Ogni domenica e nei giorni festivi sono impegnati circa mezzo milione di lavoratori e circa la metà degli Iper e dei supermercati preferisce tenere chiuso, perché è il sabato il giorno preferito dagli italiani per fare shopping. Spiega un manager del settore: «In generale nel weekend e durante le feste la spesa degli italiani non aumenta più di un 5 per cento. Paradossalmente, per il food e il no food, la fascia più interessante è quella della pausa pranzo. Il rischio, casomai, è che se chiudono i grandi e i piccoli non hanno interesse ad aprire, rischiamo di avere città deserte».
LA CONVENIENZA
Aggiunge Gardini: «Chiaramente, più si limita l'attività, più si riduce la richiesta di lavoratori». Patrizia De Luise fa invece notare che «dell'apertura H24 non ha certamente la grande distribuzione, che chiude non poche strutture. Mentre nell'ultimo decennio sono stati spazzati via 10mila piccoli negozi».
Prova a mediare tra le esigenze di grandi e piccoli Mariano Bella, economista e capo dell'ufficio studi di Confcommercio: «Personalmente io non faccio battaglie di retroguardia e considero che maggiore è l'apertura del commercio più ampia è la crescita economica. Detto questo dobbiamo tenere conto anche della conformazione del nostro Paese, che è un continuo succedersi di centri storici. In quest'ottica il piccolo commercio, che sta sparendo e va, è un'infrastruttura di presidio». Anche Bella ammette che «sarebbe rischioso riportare tutte le competenze sugli orari agli enti locali». Ma auspica che, dopo questa proposta, «la si smetta di perdere tempo con un aspetto tanto banale nella vita del commercio e s'inizi a parlare di cose serie come tasse, burocrazia o scarsa produttività».
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Il Mattino