Ue, i rischi: boom dei tassi di interesse, multa da 3,5 miliardi sullo sfondo

Ue, i rischi: boom dei tassi di interesse, multa da 3,5 miliardi sullo sfondo
Anche se l’Italia finisse sotto procedura per il mancato rispetto della regola sul debito, ci vorrebbe comunque molto tempo prima di arrivare all’obbligo per il nostro...

OFFERTA SPECIALE

2 ANNI
99,98€
40€
Per 2 anni
SCEGLI ORA
OFFERTA FLASH
ANNUALE
49,99€
19€
Per 1 anno
SCEGLI ORA
 
MENSILE
4,99€
1€ AL MESE
Per 3 mesi
SCEGLI ORA

OFFERTA SPECIALE

OFFERTA SPECIALE
MENSILE
4,99€
1€ AL MESE
Per 3 mesi
SCEGLI ORA
 
ANNUALE
49,99€
11,99€
Per 1 anno
SCEGLI ORA
2 ANNI
99,98€
29€
Per 2 anni
SCEGLI ORA
OFFERTA SPECIALE

Tutto il sito - Mese

6,99€ 1 € al mese x 12 mesi

Poi solo 4,99€ invece di 6,99€/mese

oppure
1€ al mese per 3 mesi

Tutto il sito - Anno

79,99€ 9,99 € per 1 anno

Poi solo 49,99€ invece di 79,99€/anno
Anche se l’Italia finisse sotto procedura per il mancato rispetto della regola sul debito, ci vorrebbe comunque molto tempo prima di arrivare all’obbligo per il nostro Paese di costituire un deposito infruttifero pari allo 0,2 per cento del Pil (ovvero circa 3,5 miliardi). Obbligo che scatta quando viene rifiutato l’invito ad adottare provvedimenti correttivi. E ancora più lontana è la prospettiva che quei soldi - in caso di inadempienza per altri due anni ai richiami europei - siano definitivamente incamerati dall’Unione europea e spartiti tra gli Stati “virtuosi”. Insomma le sanzioni di cui si parla sono un’eventualità abbastanza remota, che di fatto nei vent’anni di moneta unica non si è mai concretizzata.


IL PASSAGGIO

Ciò non vuol dire che il nostro Paese non debba temere questo passaggio, che avrebbe conseguenze immediate e per certi aspetti più gravi, non sul piano delle norme giuridiche ma su quello più concreto delle emissioni di titoli di Stato. L’avvio di una procedura, nel linguaggio dei Trattati il passaggio dal cosiddetto “braccio preventivo” a quello “correttivo” del Patto di Stabilità e crescita, al di là delle ragioni che lo possono aver causato viene interpretato dai mercati finanziari come un segnale negativo sull’affidabilità del Paese che si mette in questa condizione. Ecco quindi che il governo italiano si troverebbe a pagare le conseguenze in termini di aumento dei rendimenti di Bot e Btp e dello spread rispetto agli altri bond dell’area dell’euro.

PROCESSO INVERSO
Proprio in queste ore il differenziale tra Btp e Bund sta ripiegando dopo essersi avvicinato alla soglia dei 300 punti base; l’evidenza di uno scontro aperto con Bruxelles farebbe partire un processo inverso. E questo proprio in un anno in cui le scadenze che il Tesoro dove fronteggiare, sotto forma di titoli da rinnovare, sono ancora più pesanti rispetto a quelle del 2018. I maggiori oneri per interessi aggraverebbero la situazione dei conti pubblici e la necessità di tagli e inasprimenti d’imposta avrebbe con tutta probabilità un effetto depressivo sull’economia, innescando un circolo vizioso.

È il meccanismo che si è messo in moto nel 2011, quando l’Italia era comunque già nella procedura per deficit eccessivo avviata nel 2010: allora quel che fece scattare l’allarme fu la sensazione che il governo non fosse credibile di fronte alla richiesta di riportare il bilancio sotto controllo. Lo spread schizzò oltre i 500 punti e la tempesta travolse l’esecutivo in carica, sostituito da quello di Mario Monti. Il rientro nel “braccio preventivo” avvenne nel 2013, dopo che l’anno precedente il rapporto tra disavanzo e prodotto era stato riportato entro la soglia del 3 per cento; ma quel risultato fu ottenuto a prezzo di manovre pesantissime, accompagnate dall’esplosione del disagio sociale.

IL PERCORSO

Accanto alla sanzione dei mercati, l’avvio della procedura avrebbe altre conseguenze anche sui rapporti con l’Unione europea, ben prima del concretizzarsi della multa da 3,5 miliardi. Il nostro Paese diventerebbe una sorta di “sorvegliato speciale” e dovrebbe impegnarsi ad un percorso di riduzione del debito (e anche del deficit strutturale) più stringente di quello possibile per chi fa ancora parte dei “buoni”. Le missioni di verifica nel nostro Paese si succederebbero ogni tre mesi, qualcosa di non troppo diverso da ciò che avvenne in Grecia con la famigerata “troika”. Ma c’è di più: la commissione - come ulteriore forma di pressione in caso di contrasto prolungato - ha la possibilità di chiedere la sospensione dell’erogazione dei fondi comunitari, destinati in particolare alle aree svantaggiate. Tutti questi fattori erano ben presenti al ministro dell’Economia Tria, al presidente del Consiglio Conte ed allo stesso presidente della Repubblica quando sul finire dello scorso anno la via del dialogo con Bruxelles fu preferita a quella della contrapposizione frontale. Leggi l'articolo completo su
Il Mattino