Vertical farming, pregi e difetti dell’agricoltura verticale

Ecco vantaggi e criticità di una tecnica ancora poco conosciuta

Pregi e difetti dell’agricoltura verticale
L’agricoltura, una delle attività più antiche della storia dell’essere umano, necessita di essere ripensata. Vero è che nostra agricoltura produce...

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L’agricoltura, una delle attività più antiche della storia dell’essere umano, necessita di essere ripensata. Vero è che nostra agricoltura produce il 46% di emissioni in meno della media Ue, i nostri prodotti hanno meno residui di pesticidi di tutti, e siamo primi per imprese agricole condotte da under 35. Le conseguenze ecologiche dell'agricoltura intensiva, tuttavia, sono gravissime. Tra queste deforestazione, desertificazione, utilizzo di pesticidi e fertilizzanti, inquinamento delle falde acquifere, piogge acide e conseguenti cambiamenti climatici. Il settore agricolo rappresenta ancora il 7% delle emissioni di gas serra e il 94% di ammoniaca a livello nazionale.

Per questo motivo, negli ultimi anni sono iniziate sperimentazioni per migliorare questa attività, in primis riducendo il consumo di suolo e di acqua. Su questo punto si basa il “vertical farming” - o “sky farming” -, un sistema di coltivazione in cui le piante sono coltivate in strutture su più livelli, all’interno di edifici appositamente dedicati, in ambienti chiusi e quindi in assenza di radiazioni solari naturali. Tale coltivazione avviene su più livelli sovrapposti, solitamente in torri o scaffali verticali, utilizzando tecnologie di produzione avanzate come l’idroponica o l’aeroponica a ciclo chiuso. 

Un fenomeno che suona come una novità, ma le cui prime ricerche risalgono agli anni Cinquanta del secolo scorso, quando inizia a essere esplorata l’idea di coltivare piante su supporti verticali per sfruttare superfici maggiori. Un po’ come quando negli Stati Uniti si resero conto che iniziare a costruire condomini invece che villette a schiera avrebbe aiutato a risolvere - almeno in parte - il problema della carenza di unità abitative nelle grandi città.

«I vantaggi che il vertical farming porta sono numerosi - spiega Stefania De Pascale, docente di orticoltura e floricoltura presso il dipartimento di agraria dell’università Federico II di Napoli -, tra cui l’utilizzo più efficiente dello spazio e dell’acqua per l’irrigazione. In particolare, l’acqua viene riciclata e quindi riutilizzata più volte per la stesso coltura. Vi è anche un ridotto utilizzo di fitofarmaci, in quanto parliamo di un sistema molto più controllato rispetto all’agricoltura tradizionale in cui è molto frequente il rischio di attirare parassiti. In certe forme di agricoltura urbana, il vertical farming permette di riqualificare magazzini, strutture industrali, edifici già esistenti, di produrre prodotti a chilometro zero e di coltivare anche in assenza di suoli fertili o in ambienti con condizioni metereologiche estreme tutto l’anno». 

Potessimo fermarci alle note positive, questa sarebbe senza dubbio la chiave di (s)volta per il futuro dell’attività agricola. Sono tuttavia evidenti una serie di criticità ancora da superare per far rendere questa tecnica davvero sostenibile e conveniente: «I costi del vertical farming sono elevati», continua la dottoressa De Pascale. «Richiede un investimento iniziale considerevole per la costruzione o ristrutturazione delle strutture, l’acquisto delle attrezzature, l'installazione di sistemi di illuminazione e climatizzazione. E ancora: i costi per la manutenzione e un elevato consumo energetico, che può danneggiare l’ambiente se parliamo di energie non rinnovabili». Senza contare che questa tecnica richiede competenze e conoscenze specifiche, vista la complessità del sistema e della sua gestione. 

I consumatori sono poco convinti dei vantaggi di questa tecnica, specie se poi ci si mette di mezzo la moneta: «Spesso, le vertical farm vengono definite “fabbriche di insalata”, vista la ridotta diversificazione culturale. La coltivazione verticale è per la maggior parte limitata a colture che si adattano bene alla coltivazione indoor, che hanno scarse esigenze in termini di intensità di illuminazione e impollinazione, dunque uno sviluppo contenuto e un ciclo breve. Non possiamo dimenticare che il prezzo dei prodotti coltivati in vertical farm è generalmente superiore rispetto a prodotti derivanti da colture tradizionali, il chè li rende poco competitivi sul mercato, specialmente in alcune zone e in certi momenti dell’anno. I consumatori poi sono ancora scettici: hanno la sensazione che si tratti di prodotti industriali, artificiali».

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Il Mattino