Se lo sviluppo del Sud riparte dal suo passato

Se lo sviluppo del Sud riparte dal suo passato
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Gentile direttore, è dai tempi di Aldo Moro, di Ugo La Malfa e Giuseppe Mancini che sentiamo parlare dello sviluppo del Mezzogiorno. C’è sempre qualcuno a Palazzo Chigi che annuncia il suo rilancio. Di promesse ne sono state fatte tante e di classi politiche ne sono cambiate molte, ma del rilancio (o lancio) del Mezzogiorno non v’è traccia. L’unica evidenza è l’esodo di massa dei giovani, il futuro della Nazione. Il primo ministro Mario Draghi, ospite del forum Verso Sud promosso dal ministro Mara Carfagna, ha sottolineato la «volontà di immaginare e costruire un Mezzogiorno diverso». Questa volta che sia quella buona per il Sud, per l’Italia. Senza il Sud il Paese non avrà mai una vera ripartenza ed ora come non mai ce n’è bisogno.



Antonio Cascone
Padova

 

 

 

Caro Antonio,


non è vero che dal Dopoguerra sono state fatte solo parole sul rilancio del Sud. Lo ha ricordato il presidente del consiglio Mario Draghi a Sorrento la scorsa settimana: «Dagli anni ‘50 fino alla crisi petrolifera del ‘73, sospinto anche dagli investimenti pubblici, il Sud è cresciuto a una velocità superiore al Nord. In quel periodo il rapporto tra il prodotto interno lordo pro capite del Mezzogiorno e quello del Centro-Nord è migliorato di 10 punti percentuali - dal 55 al 65 per cento. Tra la seconda metà degli anni ‘90 e l’inizio degli anni 2000, le politiche di investimento hanno contribuito a restringere la forbice tra Nord e Sud, con impatti positivi sull’occupazione». Il Sud può farcela se non altro perché lo ha già fatto. Forse la grande differenza e la conseguente diffidenza sta nella classe politica di oggi rispetto ai giganti che lei ha citato. Ma se il Sud vuole davvero tornare protagonista le sue migliori energie e intelligenze della società civile devono capire che si deve interrompere il suono delle sirene del lavoro al Nord o all’estero e ci si deve impegnare e sacrificare per questa meravigliosa parte d’Italia magari tornando indietro. 

Federico Monga

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Il Mattino