Formazione, rapporto con i media, esportazione all'estero dello stile napoletano: sono questi tre temi fondamentali di cui si discuterà domani al secondo convegno di...
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La continua crescita pone infatti problemi nuovi, sconosciuti sino a pochi anni fa. Il primo riguarda sicuramente una sorta di saturazione dell'offerta con l'apertura, ovunque, anche in territori dove sostanzialmente non c'era grande tradizione come il Sannio, l'Irpinia e il Cilento, di nuove pizzerie. Nella stessa Napoli il fenomeno è in crescita esponenziale e non accenna a fermarsi.
Questa situazione inizia a creare le prime difficoltà di calo della media di presenze, perché la clientela delle pizzerie è di prossimità. Non accade per i nomi famosi, salvo per gli appassionati che però non fanno numero, come per i ristoranti al top che si raggiungono apposta in aereo o in treno. Non solo pizzerie di quartiere, ma anche nei centro fuori Napoli. Basti pensare ad Aversa che in un anno ha avuto quattro aperture rilevanti, oppure Pozzuoli o anche Acerra dove ci sono una quarantina di pizzerie per 60mila abitanti.
La novità è che non c'è più questa distanza siderale di qualche tempo fa tra i nomi più conosciuti sulla scelta dei prodotti, la qualità dell'impasto, il servizio. Ormai è passato il messaggio che ha rovesciato completamente la percezione di cosa debba essere una pizza. Prima era sempre buona a prescindere purché calda, oggi deve essere «veramente» buona. E tutti, o quasi, investono sulla qualità. Proprio questo miglioramento ha consentito al modello napoletano di imporsi anche fuori Napoli, al Nord, e all'estero. Persino a Parigi oggi è possibile mangiare in più di un locale un pizza simile a quella dei Tribunali o del Vomero.
Di fronte a questo successo pesano però le incognite di un mercato saturo, che subisce la concorrenza nelle fasce più giovani delle paninoteche dove pure è cresciuta la qualità, o della cucina nipponica che ha iniziato a dilagare anche in Campania in modo definitivo.
In questo contesto dove abilità e qualità, pur nelle diverse gradazioni, mettono quasi tutti sulle stesse condizioni di partenza, diventa decisivo comunicare bene, costruire il proprio brand personale o della pizzeria. Insomma per la pizza sta accadendo quello che è già successo nel mondo del vino nello scorso decennio.
Di fronte a questa domanda di comunicazione c'è una offerta invece sempre più confusa nella quale i pizzaioli hanno difficoltà a distinguere tra media tradizionali (giornali e siti di giornali, oltre che radio e tv), food blogger e social network. Sono sorte nuove figure professionali che assicurano like e letture su facebook, molti food blogger girano promettendo servizi e spesso questa attività di comunicazione viene confusa con quella di informazione, in cui a pagare chi scrive non è il pizzaiolo (o il ristoratore) ma l'editore della testata giornalistica. Ovviamente questo problema riguarda un po' tutto il mondo del food, ma nel settore pizza è particolarmente esasperato per due motivi: la formazione di un pizzaiolo è decisamente meno impegnativa di quella di un cuoco e girare per pizzerie costa decisamente molto meno che andare per ristoranti, anche perché nel secondo caso si deve viaggiare in Italia e all'estero mentre nel primo basta stazionare a Napoli e fare qualche puntatina a Roma.
C'è una soluzione a questo caos? Forse l'idea che inizia a circolare, e che cioè siano le stesse associazioni a promuovere una comunicazione per i loro aderenti così come fanno formazione, non è tanto sballata. Come pure quella di fare dei corsi per assaggiatori professionali come avviene con il vino. Chi sceglie di fare comunicazione ha il dovere di strutturarsi e di dichiararlo altrimenti è come se ogni auto che circola si trasformasse in taxi abusivo. Una cosa è certa, se non si fissano al più presto le regole questa enorme ampolla comunicativa fatta di post su Facebook e sui blog, come di foto su Istagram, rischia di creare confusione, false aspettative, recriminazioni, paure, gelosie, invidie e di sortire un effetto di saturazione e di abbandono da parte dei professionisti.
E questo grigio che dilaga potrebbe diventare una notte nella quale, come scriveva il filosofo tedesco Hegel, tutte le vacche sono nere.
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Il Mattino