Serie tv, lo sceneggiatore Nicola Guaglianone: «Sempre più donne protagoniste, il telecomando in mano a loro»

Nicola Guaglianone nella foto di Francesca Leonardi
Il lavoro su tre film, con Freaks Out di Gabriele Mainetti in attesa di un’uscita, e nel curriculum successi come Lo chiamavano Jeeg Robot di Mainetti, L’ora legale di...

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Il lavoro su tre film, con Freaks Out di Gabriele Mainetti in attesa di un’uscita, e nel curriculum successi come Lo chiamavano Jeeg Robot di Mainetti, L’ora legale di Ficarra e Picone e La Befana vien di notte di Michele Soavi, il romano Nicola Guaglianone (47 anni) è lo sceneggiatore che Amazon ha voluto (insieme al fumettista Menotti) per lo sviluppo della sua prima serie italiana, Bang Bang Baby: la storia di una ragazza adolescente nella Milano del boom anni Ottanta.

Come mai tante serie tv su storie femminili o con protagoniste donne?

«C’è una ragione storica e una economica. Innanzitutto i tempi sono cambiati, e le serie si adeguano. Le storie vanno di pari passo con la realtà, raccontando i conflitti morali e i contesti sociali del contemporaneo. Sarebbe assurdo se non lo facessero. Oggi le donne hanno finalmente raggiunto ruoli di potere nell’industria, e questa situazione non può che riflettersi nei prodotti audiovisivi. Ma c’è anche una ragione di mercato: l’algoritmo ci dice che la maggior parte degli spettatori seduti davanti alla tv sono donne. È la donna che ha il telecomando in mano. E l’industria non può non tenerne conto».

Anche l’industria audiovisiva italiana?

«Certo, succede anche da noi. Non è un caso se abbiamo visto nascere serie come Baby, o personaggi femminili memorabili come quelli di Gomorra, Donna Imma e Chanel. Penso a serie come Imma Tataranni, Petra, L’allieva. Anche da noi qualcosa si sta muovendo».

È un fuoco di paglia o un fenomeno destinato a durare?

«Le serie sono sempre legate ai cambiamenti del mondo. Io non credo che, a questo punto, si possa tornare indietro».

La new wave delle donne nelle serie tv ha cambiato l’approccio alla scrittura?

«Certo. Basti pensare ai vecchi 007 con le Bond girl, o alla mia generazione cresciuta con uno come Fonzie (nella serie Happy Days, ndr), che schioccava le dita e arrivavano sciami di donne. Adesso anche un film cosi popolare come 007 ha bisogno di chiamare degli specialisti per riscrivere le parti femminili e dare loro un peso e un’azione nella storia. Persiste un retaggio di maschilismo nell’approccio alla scrittura, soprattutto dei personaggi cosiddetti minori, di cui bisogna liberarsi».

Ma gli uomini riescono a immedesimarsi nelle eroine donne?

«Io credo che se un personaggio è scritto bene non importa che sia un uomo o una donna, un pesce o un robot, un cowboy o un giocattolo. Se provi emozioni, funziona. Io con La regina degli scacchi mi sono immedesimato e commosso. Perciò, quando scrivo, non penso mai alla differenza di genere nel mio pubblico». 

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Il Mattino