Formula E: premi, costi, ingaggi e budget. Ecco tutti i numeri dell'affascinante carovana elettrica

Una gara di Formula E
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BERLINO – La Formula E è un circuito giovane e ancora non ricchissimo. La carovana elettrica che porta le monoposto politicamente corrette nei centri delle città sta tuttavia riscuotendo molto interesse, tanto che che parecchie località, anche italiane, vogliono ospitare questa gara della Fia. Roma sembra in pole position, ma ci sarebbero problemi non solo di carattere economico da risolvere. Altre città del nord, la vorrebbero. Così come Zurigo, che diventerebbe l'omaggio della Svizzera (è elvetica la banca Julius Bär che sostiene la Formula E) al suo campione del mondo, Sébastien Buemi.


Il titolo iridato vale 5 milioni di euro (senza contare i 3.500 euro di premio per ogni punto mondiale) e supera il tetto dei 3 milioni di budget stabilito per la partecipazione. Ogni team è chiamato a versare 50.000 per l'iscrizione al campionato e, almeno fino alla quinta stagione, può intervenire solo in modo parziale sulle vetture: telaio, batteria e aerodinamica, ad esempio, sono “componenti” uguali per tutti.

Ciascun bolide misura 5 metri di lunghezza, 18 di larghezza e 1,215 di altezza e pesa 880 chilogrammi, pilota incluso, di cui 26 del motore e 200 di batteria, la cui capacità è di 28 kWh, sufficiente cioè a coprire una cinquantina di chilometri di competizione. Per questa ragione per altri due anni è necessario il cambio di macchina a metà corsa. La velocità massima è di circa 225 km/h con una potenza di 231 cavalli ed uno spunto da 0 a 100 orari inferiore ai tre secondi.

Circa gli ingaggi dei piloti non esistono notizie certe, anche se a fine 2015 il manager di Nick Heidfeld, il tedesco ingaggiato dalla Mahindra e attualmente quarto nel mondiale, spiegava che per i migliori si viaggia attorno alle sette cifre. Ma solo per i migliori e, probabilmente, si parla di uno o forse due piloti perché le scuderie hanno sforbiciato parecchio sui costi e la mannaia della “razionalizzazione” si è abbattuta ovunque. Lo standard sarebbe di sei cifre, per qualcuno addirittura cinque, il che spiega perché praticamente tutti facciano il “doppio lavoro”. Poi ci sono altri contratti con gli sponsor e, naturalmente, la speranza di mettersi in mostra.

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Il Mattino