Nino Vaccarella: «La 24 Ore di Le Mans è più bella della “mia” Targa Florio»

Nino Vaccarella è stato l'ultimo pilota italiano a vincere la 24 Ore di le Mans al volante della Ferrari 275 P2 il 21 giugno del 1964
LE MANS - Sono stato l'ultimo pilota italiano a vincere la 24 Ore di le Mans al volante di una Ferrari, la 275 P2. Era il 21 giugno del 1964, nona prova del Mondiale Sport...

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LE MANS - Sono stato l'ultimo pilota italiano a vincere la 24 Ore di le Mans al volante di una Ferrari, la 275 P2. Era il 21 giugno del 1964, nona prova del Mondiale Sport Prototipi che la Ferrari avrebbe vinto. Avevo 31 anni. Oggi ne ho 83, dunque ne sono passati 52. Ma il ricordo, bellissimo, è ancora vivo nella mia mente, perché nonostante avessi maturato già una buona esperienza, quella fu la mia prima grande affermazione a livello internazionale. Un’emozione indimenticabile, tra le più forti della mia carriera di pilota, arrivata tra l’altro nel periodo d’oro della Ferrari, prima che riuscisse a imporsi lo squadrone Ford con la GT 40.

 


All’epoca la scuderia di Maranello era un’armata invincibile. Ricordo che in quella edizione della 24 Ore scendemmo in campo con un plotone di macchine e piloti da far paura. La Ford era un’avversaria temibile, e infatti nelle prove la GT40 mostrò le proprie ambizioni con una velocità di punta superiore a 300 km/h sul rettilineo delle Hunaudières. Una velocità strabiliante per quei tempi, e tuttavia non fu sufficiente a scalzare la Ferrari 330 P di John Surtees dalla pole position. Alle spalle di Surtees si piazzò, a tre secondi, la GT40 di Richie Ginther; dietro, la Ferrari 330 P della NART, la GT40 di Phil Hill e poi io con la Ferrari 275 P2, che del lotto di testa era la macchina meno potente. Il nostro motore era infatti un V12 3.300, mentre le 330 P2 dei nostri colleghi adottavano il V12 4.000 e le Ford i V8 4.700.

Nella prima parte di gara le macchine americane tennero un ritmo indiavolato, da gran premio. Ma la meccanica non resse, e le Ferrari emersero sulla distanza. Alla fine, conquistammo tutto il podio, con Graham Hill e Joakim Bonnier secondi, John Surtees e Lorenzo Bandini terzi. Per non dire del quinto e sesto posto conquistati dalle 250 GTO di Bianchi-Blaton e Ireland-Maggs.

La mia vittoria del ’64 fu per la Ferrari la quinta di una serie di sei trionfi consecutivi ottenuti dal ‘60 al ’65 sul circuito francese. Al volante si alternavano piloti che rispondevano, tra gli altri, ai nomi di Olivier Gendebien, Paul Frere, Phil Hill, Jochen Rindt, Masten Gregory, Lorenzo Bandini, Ludovico Scarfiotti. Proprio con Scarfiotti avrei voluto dividere il volante della Ferrari nella 24 Ore del ‘64. Un po’ perché lo conoscevo bene e mi fidavo di lui, un po’ perché mi sarebbe piaciuto formare un equipaggio tutto italiano. Ma non fu possibile. Mi fu imposto di correre in coppia con il francese Jean Guichet, che non conoscevo e del quale non mi fidavo. Lo feci presente al direttore sportivo Eugenio Dragoni, ma non mi diede ascolto. Ciò detto, vincemmo la corsa grazie ad una condotta di gara regolare e alla capacità di salvaguardare la meccanica della nostra 275 P2. Mentre i nostri avversari, e anche qualche compagno di marca, esagerarono nelle prime fasi, mettendo a repentaglio l’affidabilità. Non commettemmo errori, e la nostra macchina non diede problemi di alcun tipo. Ci fermammo ai box solo per i rifornimenti, i rabocchi di olio, la sostituzione delle pastiglie dei freni e delle gomme. Sul giro io ero sempre più veloce del mio compagno, ma contrariamente alle mie previsioni Guichet si rivelò un ottimo compagno di squadra, un impeccabile regolarista, veloce e costante. Le mie perplessità si rivelarono del tutto infondate. La scelta di Dragoni si rivelò dunque giusta.


Del resto l’aveva condivisa con Enzo Ferrari, che alle corse non era presente, ma si faceva sentire telefonicamente, e da Maranello decideva tutto in prima persona. Avessi potuto parlare direttamente con lui, forse l’avrei convinto ad assegnarmi Scarfiotti come compagno, e magari avrei cambiato il destino, chissà… A pensarci bene, comunque, dubito che Ferrari mi avrebbe dato ascolto: con lui non c’era un rapporto diretto, confidenziale, ci trattavamo e ci rispettavamo come un datore di lavoro e il suo dipendente. Nulla di più. Però una cosa è certa: mi stimava e mi avrebbe voluto con lui a Maranello a tempo pieno. Ma io non ho mai potuto accettare la proposta di trasferimento in pianta stabile, non potevo lasciare Palermo, avevo il dovere morale di continuare l’attività di mio padre nella scuola da lui fondata ed ereditata assieme a mia sorella. Pensate che proprio in occasione del trionfo a Le Mans non ebbi la possibilità di partecipare ai festeggiamenti organizzati la domenica sera. Dovetti imbarcarmi sul primo aereo in partenza da Orly per l’Italia, in quanto la mattina del lunedì dovevo trovarmi assolutamente a scuola, a Palermo.

Insomma, dovevo dividermi tra l’attività di preside e le corse. Per questo motivo non ho potuto realizzare neanche il sogno di correre stabilmente in Formula 1. Ho potuto disputare soltanto nove gran premi, con qualche buon risultato. Ma va bene così. Le corse con le Sport Prototipo mi hanno regalato grandissime soddisfazioni, mi hanno appagato, e con la Ferrari ho ottenuto alcune delle vittorie più belle della mia carriera, avendo avuto la possibilità di vincere il Mondiale Marche e di guidare le macchine del Cavallino su circuiti storici come il Nurburgring, Sebring, Monza, la Targa Florio, la stessa Le Mans. La 24 Ore è la corsa che ho amato di più. So che può sembrare sorprendente, e in controtendenza col parere di altri piloti, ma io preferisco Le Mans più della Targa. Sì, la Targa è la corsa di casa mia e in Sicilia sono tuttora venerato come un idolo, ma un pilota professionista ha il dovere di fare valutazioni tecniche serie e attendibili. E dunque è giusto dire che tra la Targa e Le Mans non c’è corsa. Meglio le Mans.


Certo, l’atmosfera delle Madonie è unica, lo scenario e il ruolo del pubblico hanno sempre avuto un ruolo importante, coinvolgente; ma è un controsenso gareggiare con auto da corsa, nate per la pista, potenti e velocissime, su strade strette, tortuose e pericolose come quelle del circuito di casa mia. A Le Mans, invece, ti senti con l’auto giusta al posto giusto: potenza e velocità in perfetta simbiosi, con la possibilità di sfruttare tutti i cavalli a disposizione, senza sentirti imbrigliato. Leggi l'articolo completo su
Il Mattino