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Non sono passati inosservati i nomi di due penalisti nell'ordinanza di custodia cautelare culminata di recente in decine di arresti. Inchiesta contro i presunti colletti bianchi legati alla camorra dei casalesi, a leggere la misura cautelare firmata dal gip Cervo, si scorgono i nomi di due avvocati napoletani che nel corso degli anni hanno assunto il ruolo di difensori di manager di imprenditori o di boss legati alla galassia casalese.
Alcuni colloqui sono stati intercettati, come è logico che avvenga, dal momento che i loro interlocutori erano oggetto di attenzioni investigative. E alcune di queste intercettazioni sono finite agli atti della misura cautelare che è stata notificata alle parte, appena due giorni fa. Doverosa una premessa: nessuno dei due avvocati è sotto inchiesta, né nei loro confronti è possibile ipotizzare rilievi, sia sotto il profilo penale che da un punto di vista disciplinare. Eppure le loro conversazioni finiscono agli atti, in una ricostruzione valutata dal gip, alla luce delle stesse conclusioni avanzate da parte della stessa Procura di Napoli. Quanto basta comunque a spingere la camera penale a valutare il caso, che - per la complessità della materia trattata - merita comunque una valutazione ponderata e non ideologica. Ma proviamo a mettere a fuoco i tre passaggi in cui compaiono i nomi degli avvocati.
In due casi, il target delle intercettazioni è Nicola Schiavone, 68 anni, ritenuto padrone occulto di decine di appalti, grazie a una straordinaria e variegata capacità di relazioni. Nasce a Casal di Principe e, secondo l'accusa, riesce a mettere a frutto il cosiddetto «lievito madre», vale a dire i proventi di attività illecite del boss del clan dei casalesi Francesco Sandokan Schiavone, riuscendo ad entrare in un sistema di commesse all'ombra della Rfi.
Si tratta di alcuni riferimenti che entrano nel testo dell'ordinanza, perché servono a ricostruire - nell'ottica di chi indaga - i contatti tra colletti bianchi e clan dei casalesi. Ed è questo il motivo che spinge il giudice a fare una premessa probabilmente decisiva per inquadrare una materia tanto complessa: «Si tratta di una conversazione utilizzabile nella misura - scrive il gip Cervo - perché si riportano contenuti estranei al tema della difesa». Un ragionamento che sintetizza la posizione della stessa Procura di Napoli, alla luce di quanto viene esposto dai titolari delle indagini, vale a dire i pm Antonello Ardituro e Graziella Arlomede. E non è un caso che alla base degli atti vengono allegati dagli inquirenti provvedimenti adottati in questi anni proprio in materia di intercettazioni che investono i colloqui tra legali e assistiti. Un tema su cui, la camera penale di Napoli, guidata dal presidente Marco Campora, ha deciso di vederci chiaro, nel tentativo di valutare quanto sia condivisibile il ragionamento fatto da pm e giudice.
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