Bengalese violentata a Napoli, il processo è al palo: «Manca l’interprete»

Donna pronta a denunciare il marito in Campania non ci sono madrelingua

Una scena del film “La tenerezza” di Gianni Amelio in cui Giovanna Mezzogiorno lavora come interprete per i migranti
Non ci sono interpreti in grado di garantire i diritti della parte offesa. Non c’è un madrelingua capace di tradurre i momenti salienti di un processo, a cominciare...

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Non ci sono interpreti in grado di garantire i diritti della parte offesa. Non c’è un madrelingua capace di tradurre i momenti salienti di un processo, a cominciare dalla versione resa da una donna, che ha provato a scrollarsi di dosso un passato di violenze e maltrattamenti. Otto udienze, otto rinvii, nonostante il dinamismo del giudice che ha scritto agli albi di interpreti a Napoli e negli altri uffici giudiziari della Campania, per andare a bussare poi a quelli della regione Lazio. Strano caso, quello di Nera A., cittadina del Bangladesh, giunta in Italia assieme al marito. A leggere le carte, ha trovato la forza di puntare l’indice proprio contro l’ormai ex coniuge, accusandolo di averla indotta alla prostituzione, in una vicenda giudiziaria che è poi approdata dinanzi a un giudice del Tribunale di Napoli. 



Nel 2017 si sarebbero consumate le violenze, due anni dopo - nel 2019 l’inizio del dibattimento, poi la pandemia e il ritorno in aula. Ripartenza spedita? Tutt’altro. Ci sono ben otto udienze nel corso delle quali la donna è lì, all’interno dell’aula 416 del Tribunale, accanto alla sua legale di fiducia, l’avvocato Mariagrazia Santosuosso. Ma il processo non decolla, di fronte alla difficoltà di reperire un interprete, nonostante la solerzia del giudice che ha provato ad assicurare un filtro adeguato nella comunicazione che avviene tra le parti in aula. È stato infatti il giudice Luca Purcaro a sondare albi ed elenchi a disposizione per ottenere la presenza di un interprete bengalese, in grado di riportare in modo lineare le domande del pm, degli avvocati dei due imputati, dello stesso giudice, oltre - ovviamente - al racconto della parte offesa. Strana defaillance, alla luce del fatto che la lingua bengalese è tutt’altro sconosciuta qui a Napoli, dove esiste una comunità ben integrata ed è rappresentata da una maggioranza di cittadini onesti e lavoratori. 

Ma torniamo al cuore del processo che tarda a decollare. A dibattimento finiscono Jamal Md Hossain e Rana Sohel, entrambi del 1978. Il primo è l’ex marito di Nera A. ed è accusato di violenza e istigazione alla prostituzione. 

Difesi dal penalista napoletano Giacomo Pace, i due imputati si dicono innocenti e sono determinati a dimostrare la propria estraneità alle accuse. Tutti e tre, dunque, chiedono che il processo abbia inizio nel tentativo di rappresentare le proprie ragioni, proprio a partire dalla denuncia messa a verbale dalla donna indicata dalla Procura come parte offesa. C’è un retroscena in questa vicenda. E risale al momento in cui viene ascoltata per la prima volta la voce di Nera dagli agenti di un commissariato cittadino. Sono gli stessi poliziotti a chiarire un punto che ha poi segnato la storia del processo rimasto per ora al palo: gli agenti chiariscono che sono riusciti a verbalizzare solo una parte della testimonianza della donna, di fronte alle difficoltà di comunicazione in italiano.

Manca un interprete, serve un filtro linguistico. Alcuni anni dopo, siamo ancora al punto zero. E non è certo per colpa del sistema giudiziario italiano, dal momento che il giudice in udienza ha provato in tutti i modi di ottenere una figura specializzata per dare inizio al lavoro in aula.

Udienza rinviata il prossimo 31 maggio, ci vuole un mese e mezzo per formalizzare la convocazione di un professionista in grado di tradurre e riportare la prosa giuridica alla testimone.

Spiega a Il Mattino il presidente del Tribunale Elisabetta Garzo: «È necessario individuare un interprete a tutela della dignità della donna che ha sporto denuncia, ma anche degli imputati che hanno diritto di conoscere in modo trasparente la versione di chi li accusa. Ovviamente, se anche la prossima udienza non dovesse essere presente un interprete in aula, sarà necessario inoltrare una richiesta ad hoc all’ambasciata e agli uffici consolari».



Spiega invece l’avvocato Pace, veterano del mondo penale a Napoli, per altro da decenni impegnato in processi che riguardano extracomunitari alle prese con accuse in materia di terrorismo: «Questa vicenda dimostra che nei Tribunali importanti bisognerebbe dare vita a un ufficio di interpreti stipendiati dal ministero, in modo da impedire questo tipo di defaillance. Bisognerebbe garantire la copertura di lingue che ormai vengono usate da anni da tantissimi cittadini integrati nelle nostre comunità e che vanno rappresentati nell’interesse di tutti».  Leggi l'articolo completo su
Il Mattino