Bimba ferita a Sant'Anastasia, armi scomparse: «Sono state distrutte dal clan»

Nessuna traccia di mitra e pistola usati per l’agguato: «Possibile ruolo da parte della cosca legata ai D’Avino»

La stesa a Sant'Anastasia
C’è un nodo tutto da sciogliere, nel corso delle indagini sull’agguato consumato la notte del 23 maggio scorso a Santa Anastasia. È il giallo delle armi....

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C’è un nodo tutto da sciogliere, nel corso delle indagini sull’agguato consumato la notte del 23 maggio scorso a Santa Anastasia. È il giallo delle armi. Prima, durante e dopo il raid all’esterno di due bar in via Cattaneo, qualcuno le avrebbe gestite. Qualcuno le avrebbe consegnate a due gionissimi, salvo poi recuperarle dopo quella stesa che - col passare dei giorni - ha sempre più gli aspetti di un agguato organizzato, premeditato, studiato a tavolino. Ma ragioniamo sulla scorta di quanto emerso dalle indagini dei carabinieri del reparto operativo di Napoli e della compagnia di Castello di Cisterna. In pochi minuti, Santa Anastasia si trasforma in una sorta di inferno metropolitano.

Scena raccapricciante: vengono esplosi dieci colpi, che raggiungono alla testa una bambina di dieci anni; mentre vengono miracolosamente risparmiati altri passanti, a comunciare dal fratellino di Assunta (la piccola di 10 anni), per arrivare alla decina di bambini che festeggiavano il compleanno di un 12enne. Sulla dinamica si sa molto, grazie alle immagini di una telecamera esterna a un bar e alle testimonianze raccolte sul posto. Resta però un buco legato alle armi. Che fine hanno fatto? In cella sono finiti il 19enne Emanuele Civita e il suo complice 17enne: entrambi sono accusati di aver impugnato una pistola e una mitragliatrice, in un assalto che sembra organizzato per creare scompiglio, per suscitare paura e per battere a caldo con le richieste estorsive. Ma ripetiamo la domanda: che fine hanno fatto quelle armi?

I carabinieri hanno trovato gli scooter che sarebbero stati usati e che sarebbero riconducibili ai due indagati, mentre agli atti mancano il mitra e la pistola usata per la sventagliata di proiettili. È evidente - ragionano ora gli inquirenti - che qualcuno ha aiutato e sostenuto i due presunti malviventi finiti in manette. In che modo? Prima e dopo il raid. Assegnando un mandato criminale preciso, all’atto della consegna delle armi: andate e fate fuoco; create un incidente e sparate, in modo da rendere possibile l’esplosione di quei colpi di arma da fuoco.

Ma non è finita. Sostegno materiale anche dopo aver rischiato di uccidere una bambina di 10 anni, dal momento che qualcuno è riuscito a far sparire quelle armi dalle mani dei due presunti criminali in erba.

Quanto basta a spingere la Procura di Napoli a ipotizzare l’aggravante mafioso nei confronti dei due indagati. È caccia ai complici, mandanti e custodi dei due presunti pistoleri. Intanto, la bambina di 10 anni è stata dimessa due giorni fa. È stata operata due volte al Santobono, i medici le hanno estratto un proiettile dal cranio. Ora è tornata nella sua stanzetta, protetta dall’amore dei genitori e dei più stretti congiunti, in una comunità - quella di Pollena Trocchia - che ha vissuto in apnea l’ennesima fatto di cronaca nera toccato a un bambino sul nostro territorio. 

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Il Mattino