Non c'è aria di festa nel centro storico di Napoli. La riapertura dei ristoranti, dopo due mesi di lockdown, qui è grigia come la pioggia di maggio: musi lunghi,...
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ADDIO TURISMO
Il grande cruccio, nei vicoli del centro storico soprattutto quelli a ridosso di via Toledo, e poi lungo i due decumani è l'improvviso prosciugamento del fiume di turisti che, attratti dalla tradizione, dalla storia, dal cibo tipico e dai prezzi popolari, riempivano osterie e trattorie a ogni ora. «Il settore si era gonfiato oltre misura dice Rino Artigiano -. Fino a tre anni fa eravamo circa 1400 gli operatori del settore a Napoli. Oggi siamo quattro volte tanto. Chiunque ha messo tre tavoli e ha cominciato a fare da mangiare. Ovviamente senza andare troppo per il sottile. Ce n'era per tutti. Ora la coperta è troppo corta. Tanti locali e poco mercato. Ci sarà da soffrire, bisogna stringere i denti e vedere come va. Io penso che ci aspetti un lungo periodo difficile, in cui dovremo soprattutto resistere». «Nel giro di cento metri dal mio ristorante conferma Peppe Di Criscio, trattoria in via Benedetto Croce conto almeno altri quindici locali che fanno food a vario titolo, dal cibo di strada, dal bar, alla pizzeria, ai fritti nel cuoppo, eccetera. Finché ci stava il fiume di gente a tutte le ore, si faceva un poco ciascuno. Ma adesso i vicoli sono deserti, nemmeno i napoletani li affollano. E noi dobbiamo dimezzare i tavoli. Come si sopravvive così? Aperti o chiusi è la stessa cosa. Anzi, meglio chiusi, almeno si riducono i costi, e aspettiamo tempi migliori». «Io per fortuna lavoro molto anche con i napoletani dice con più tranquillità Rosario, della trattoria Capri -, chiaramente con i turisti in giro io riuscivo a fare anche quattro turni pieni al giorno. Da ora, se ne farò uno è assai. Ma dobbiamo lavorare, stare due mesi a casa è stata una sofferenza troppo grande».
ISOLE PEDONALI
In ognuna di queste trattorie, il vero cruccio è il personale. Cinque, sei persone tra cucina e servizio: non sono grandi aziende. Ma chi rimane chiuso li lascia tutti a casa, e chi apre ne riprende a malapena la metà. «Siamo una famiglia dice Coppa -, con me lavora mio figlio, mia moglie e tre dipendenti. Se le cose vanno bene tornano, altrimenti come si fa?». E poi c'è la filiera: le trattorie comprano pesce, verdure, frutta, prodotti dalle botteghe del posto. La crisi si scarica a catena su tutti quelli che, dal cibo di strada al piccolo caseificio, alle pulizie nei B&b, ruotava per intero su questo giro di affari. «Io mi auguro dice ancora Rosario, della trattoria Capri che ci sia comprensione da parte di tutti. Io sento molta esasperazione in giro: se cominciano ad arrivare le forze dell'ordine per misurare le distanze e fanno multe sui centimetri in più o in meno, penso che qualche ristoratore già in crisi potrà avere una crisi di nervi. La tensione è alta, cerchiamo di gestire la situazione con equilibrio». Dai Quartieri Spagnoli, in particolare, la proposta all'indirizzo del Comune è già pronta. C'è bisogno di spazio, di più spazio. I locali sono piccoli, i tavoli sono pochi, bisogna concedere strada e aria aperta. Sul lungomare è facile, qui più complicato. Ma i vicoli ci sono, di giorno brulicano per residenti e commercio. Ma dalle diciotto possono diventare tante isole pedonali. «Speriamo in questo dice il titolare della trattoria Capri -, ci servono spazi aperti. Le strade davanti ai ristoranti ci servono. Nessuno vuole togliere le auto di giorno ma verso sera un po' di isole pedonali, ben arredate, illuminate, che possano darci tavoli all'aperto e invogliare gente a uscire sono fondamentali». In fondo è il vecchio sogno della Montmartre napoletana, tante volte immaginata. Approfittare della crisi, spalancare i portoni, popolare le vie, in attesa di rivedere la processione dei trolley dei turisti che è il vero suono mancante su queste pietre improvvisamente troppo silenziose e vuote. Leggi l'articolo completo su
Il Mattino