«Il Pascale è schiacciato dalla burocrazia, torno a fare il medico: in questo ruolo, almeno, non mi sento inutile». Smette i panni del manager che l’hanno...
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Meglio fare il medico che il manager?
«È stata una scelta sofferta, ma nell’altra veste mi sentivo inutile: adesso posso quantomeno esprimere liberamente il mio pensiero su quest’esperienza e da addetto ai lavori. Mi sono dimesso perché sono abituato a lavorare in prima linea su obiettivi concreti e, in qualità di tecnico impegnato sul campo da più di 30 anni, ho pensato che avrei potuto dare il mio contributo finalizzato esclusivamente a migliorare le cure ai tanti ammalati di cancro che si rivolgono al Pascale».
Poi, cosa è accaduto?
«Ho messo in campo tante azioni, in accordo con gli altri vertici del Pascale, però il sostegno regionale, necessario per rendere operative queste misure, e più volte sollecitato, non è mai arrivato. Inoltre, nella programmazione della rete oncologica regionale mi sarei aspettato un diretto coinvolgimento di professionisti di chiara fama internazionale, quali i professori Sabino de Placido, della Federico II, Fortunato Ciardiello, della Sun nonché presidente della Società europea di oncologia medica, e Cesare Gridelli, del Moscati di Avellino, più naturalmente i tanti colleghi del Pascale. Quindi, ho deciso di ricominciare a fare quello che mi riesce meglio e che mi consente di dare un contributo concreto al sistema sanitario regionale».
Le sue dimissioni sono scattate ieri: perché le definisce «irrevocabili»?
«Perché precedute da un carteggio tra il Pascale e la Regione. Ho inviato io una prima lettera, il 5 maggio, per segnalare il mio disagio: l’ho indirizzata al governatore, al suo consigliere Enrico Coscioni, al capo dipartimento Antonio Postiglione e al commissario straordinario del Pascale, Sergio Lodato».
Risposte?
«Lodato mi ha confermato la sua stima e piena fiducia, affinché restassi».
Evidentemente, non è bastato.
«Ho scritto un’altra lettera, una settimana fa, indicando una data d’addio precisa, il 23 maggio. Nel documento, ho parlato genericamente di motivi personali, ma da tempo è noto a tutti che la mia grande sofferenza è dovuta dal constatare che ogni buon proposito viene bloccato dalla burocrazia. Difatti, ne ho parlato venerdì scorso per l’ultima volta con Coscioni, quando mi ha comunicato la decisione di rispettare la mia scelta da parte del governatore, annunciandomi una lettera di encomio».
Il primo obiettivo mancato?
«Ottenere rinforzi in corsia, in particolare in reparti delicatissimi come la terapia intensiva e la radioterapia, ma anche per far funzionare le sale operatorie nel pomeriggio, presupposto indispensabile per ridurre le liste di attesa e per fermare la fuga dei pazienti verso il nord. Altrimenti, solo chi ha denaro può curarsi».
Perché non è riuscito a spuntarla?
«Il Pascale non può assumere personale, nonostante abbia i conti in ordine: alcune norme lo impediscono, in base ad altri cavillosi parametri».
Sconfitto dalla burocrazia, se ne va. Anzi no: resta nel polo oncologico, ma per fare il medico.
«Ma l’istituto tumori di Napoli non può essere trattato alla stregua di un qualsiasi ospedaletto di provincia: ha bisogno di provvedimenti ad hoc, e subito. Senza generali, luogotenenti e soldati la più grande struttura di riferimento del Sud, per numero e qualità delle prestazioni, non può condurre una vera battaglia contro il cancro».
Insomma, il suo ritorno in corsia è un ultimo grido di dolore.
«Vuole essere anche un appello. Per De Luca resta la stima di sempre ma questo sentimento non basta, purtroppo, a risolvere i problemi che affliggono la sanità in Campania».
Cosa suggerisce al governatore?
«La dignità del paziente non potrà mai essere rispettata se coloro ai quali è affidato il gravoso ed impegnativo compito di programmare la sanità pubblica continuano solo a preoccuparsi di far quadrare i conti del sistema, a far rispettare i percorsi, spesso perversi, degli adempimenti burocratici, assecondando presunte “logiche” che proprio nulla hanno a che vedere con il rispetto dell’essere umano, un nobile concetto, questo, il più delle volte affidato solo a buona volontà e abnegazione degli operatori sanitari, dipendenti a tempo indeterminato o con contratti precari». Leggi l'articolo completo su
Il Mattino