Si presentò all'ingresso della palestra Boxe vesuviana, cercò con lo sguardo sognante lui, il maestro Lucio che in quel quartiere era considerato una sorta di...
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La grande imprevedibilità che dimostrava sul ring, però, gli faceva compagnia anche nella vita. E qui si manifesta la croce: nella sua vita non proprio irreprensibile una volta tolti i guantoni. Una sorta di retaggio culturale al quale Pietro non è riuscito a sfuggire. È il 2007 quando, già campione europeo e sfidante mondiale nei massimi leggeri, viene arrestato per concorso esterno in associazione camorristica, spaccio e traffico d'armi: prende dieci anni, poi ridotti a otto. Per i giudici è uno dei referenti dello spaccio gestito dal clan Gionta alla Provolera. Finisce di scontare la pena nel 2016, pochi mesi dopo torna a combattere. Ma non è finita. L'ex pugile, ora 44enne, due giorni fa viene arrestato per spaccio di sostanze stupefacenti insieme al fratello Salvatore e alla cognata Marianeve Longobardi. Nella loro casa alla Provolera c'erano tutti gli strumenti necessari per confezionare dosi, e secondo gli investigatori il gruppetto spacciava coca, erba e anche crack.
Nessuna parola di condanna arriva dalla struttura diretta da Zurlo. Soltanto sgomento, incredulità e tanta rabbia: «Era il Maradona dei pugili - ribadisce il maestro - un grandissimo talento che poteva fare molto di più della splendida carriera che ha fatto. Pietro è il mio più grande rimpianto di educatore e di maestro di boxe. Sono riuscito a distogliere tanti ragazzi dalle insidie della strada e di un territorio difficile come il nostro. Purtroppo con Pietro ho fallito. E questo mi fa molto male». Gli fa eco il figlio Biagio: «Siamo rimasti molto male alla notizia dell'arresto. Anche se non lo vedevamo da tempo, Pietro è un pezzo di storia della nostra palestra dove è cresciuto. La nostra è una grande famiglia, e quando accade una cosa del genere siamo tutti coinvolti emotivamente».
Biagio Zurlo rivendica con orgoglio il ruolo della palestra nella quale, sottolinea, «continuiamo a svolgere attività sociale e di prevenzione: siamo un punto di riferimento per il riscatto di tanti giovani torresi». Giacobbe Fragomeni, ex campione del mondo, lancia un messaggio ad Aurino: «Anche io - dice sono caduto e mi sono rialzato tante volte grazie alla boxe. Sono uscito dalla droga con grande forza di volontà cominciando un viaggio interiore che continua ancora oggi. Per cambiare bisogna volerlo. Pensando a mia moglie e ai miei figli ho voluto fortemente dire basta con quella vita. Perciò rivolgo un invito a Pietro. Nel momento in cui risolve i suoi problemi con la giustizia lo aspetto nella mia palestra, a Milano, per ricominciare esattamente da dove aveva lasciato». Leggi l'articolo completo su
Il Mattino