Caldoro: il Sud ora deve reagire così il Paese rischia di spaccarsi

Caldoro: il Sud ora deve reagire così il Paese rischia di spaccarsi
«A questo punto dal Sud è necessario che arrivi una reazione uguale e contraria. Intendiamoci, la Lega fa benissimo a difendere gli interessi territoriali del proprio...

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«A questo punto dal Sud è necessario che arrivi una reazione uguale e contraria. Intendiamoci, la Lega fa benissimo a difendere gli interessi territoriali del proprio elettorato, ma così il baricentro decisionale rischia di spostarsi verso il Nord. E questo non lo si può permettere». Stefano Caldoro, ex ministro ed ex governatore della Regione Campania, nel cui consiglio è oggi capo dell'opposizione, commenta l'esito del voto referendario in Lombardia e Veneto e rilancia la proposta referendaria nel Mezzogiorno.


Onorevole Caldoro, il voto di domenica ha spaccato l'Italia?
«Di sicuro c'è un problema molto serio di rappresentanza delle istanze locali, che vanno affrontate comunque in un ottica di unità nazionale. Il risultato referendario va certamente preso molto seriamente. Sento parlare di flop in Lombardia: io non credo affatto sia così. L'esito veneto colpisce certamente di più ma io ritengo che entrambi i governatori, Zaia quanto Maroni, per i quali ho grande stima, abbiano ottenuto un successo e fatto il loro mestiere. Emerge una grande volontà di autonomia, di responsabilità, di cambiamento del modello regionale e quindi anche dello Stato. Da questo punto di vista questa critica al sistema va assunta come una sfida nazionale. Quindi anche del Sud».
Bisognerebbe fare un referendum anche nelle regioni meridionali?
«Io ritengo di sì, ed è una proposta che ho fatto in tempi non sospetti: ben prima dell'estate ha proposto in consiglio regionale una consultazione sull'autonomia che sappia bilanciare le differenze tra Nord e Sud».
Il divario rischia di aggravarsi dopo il pronunciamento popolare di domenica?
«Senza dubbio sì. Soprattutto se restiamo fermi. Ora si aprirà un tavolo con il governo sull'autonomia e a quel tavolo si siederanno solo Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna. Dobbiamo assolutamente agire. Se loro chiedono meno Stato su alcuni punti, noi dobbiamo chiedere più Stato su altri. Il regionalismo italiano è difforme e ognuno ha differenti necessità. Se si apre questa grande trattativa, il Mezzogiorno ha solo da guadagnare».
Quali le necessità prioritarie?
«Intanto occorre ristabilire un principio di equità, garantito dalla Costituzione, che va stabilito su almeno tre grandi capitoli: sanità, welfare, trasporto pubblico locale. Mi consenta un paradosso: il voto lombardo e veneto può essere un boomerang proprio per il Nord, perché sull'autonomia offre al Sud la sponda per aprire una discussione sui ritardi che scontiamo. Ma a patto che il Sud accetti la sfida. Ritengo che a mobilitazione si debba rispondere con mobilitazione. Il voto popolare legittimerebbe questa rivendicazione».
Il potere contrattuale al momento è però nel Nord. Pensa sia possibile bilanciarlo?
«Berlusconi ha giustamente detto di voler estendere questa richiesta regionalistica a tutta Italia perché non è possibile lasciare l'iniziativa nel Nord. Ciò detto, non si può sottolineare che esiste una colpa grande del Mezzogiorno, che ha atteso troppo. Devo sottolineare che oggi le leadership regionali meridionali sono chiuse nei propri confini, profondamente gelose del rispettivo potere locale. Il che porta uno svantaggio per l'area. È un problema che avverto da tempo: ecco perché avrei voluto una modifica costituzionale che superasse le Regioni per arrivare alle Macroregioni, e Renzi, all'epoca premier, era anche d'accordo ma ci fu una forte resistenza del Pd. In ogni caso, è fondamentale fare squadra».
In che modo?
«Intanto lavorando per creare quello che già oggi la Costituzione ci consente di fare: ossia degli organi comuni attraverso i quali gestire determinati capitoli. Penso alla sanità, alla portualità, alla gestione del ciclo delle acque, allo smaltimento dei rifiuti e in generale alle questioni ambientali».
Crede sia una strada percorribile?
«Credo che se non lo si fa il divario con il Nord rischia di aumentare in modo drammatico. La Lega esce con il carico di benzina da questo referendum e se non si agisce l'area moderata finirebbe schiacciata da questa onda nordista che ha dato un segnale molto forte. Non c'è tempo da perdere. Se non si agisce, non sappiamo che quadro ci restituirà questa azione che è partita e su cui il Nord intende andare fino in fondo».
Il quadro ci restituisce governi locali forti, anche grazie all'elezione diretta, e un governo nazionale meno forte. Per di più il ritorno al proporzionale rischia di rendere il contesto post-voto nuovamente incerto. È un problema?

«Certo c'è un rischio reale di sbilanciamento. E non avere una simmetria rischia di dare problemi anche laddove si tratta di ridisegnare i poteri. Resto convinto che l'attuale asimmetria renderà a un certo punto necessario riformare la designazione del premier e l'elezione del Capo dello Stato». Leggi l'articolo completo su
Il Mattino