Dice di essere sbarcato a Dubai per un viaggio di piacere, assieme alla moglie e ai due figli. Dice di essere un imprenditore napoletano, da tempo titolare di un ristorante...
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Ma intanto si leva la denuncia dell'uomo detenuto a Dubai. In sintesi, da quasi un mese, la sua famiglia è in un hotel, mentre lui si trova in cella, alle prese con accuse da brividi: «Mi chiamo Domenico Alfano, sono cittadino italiano, ho una moglie colombiana con cittadinanza italiana e due bambini, una di 13 anni e un altro di 9. Da tredici anni viviamo a Panama. Siamo partiti da Panama il 18 dicembre per una vacanza di trenta giorni qui a Dubai. Possiedo un ristorante pizzeria a Panama Santiago de Veraguas. Abbiamo fatto una sosta in Francia, prima di atterrare negli Emirati, ma quando siamo atterrati è iniziato un incubo. Un uomo con la giacca viene a cercarci e ci invita a seguirlo, passiamo davanti agli altri passeggeri. Alla porta numero due, mi chiedono il passaporto, declino le mie generalità, gli dico che sono Domenico Alfano. Mi dicono di far parte dell'Interpol, ci portano nell'ufficio migrazione: a questo punto, uno dell'Interpol porta mia moglie con i bambini verso una finestra, mentre io seguo attraverso un percorso un altro uomo. Controllano la mia valigia, poi mi portano in un ufficio. Mostro loro la scheda di presentazione del mio ristorante, mentre mi fanno foto, prima di mettermi in una cella. Passano due o tre ore, mi fanno altre foto, mi mettono le manette e mi trasferiscono in prigione».
E non è finita. «Lì, in cella, arrivano altri funzionari dell'Interpol, che mi mostrano le foto di due uomini con due nomi e cognomi diversi, dicendomi che in realtà si tratta della stessa persona. Mi accusano di essere un leader della mafia, che mi stanno cercando da diversi anni. A questo punto, dentro di me, mi sento rassicurato, perché so che hanno sbagliato persona e che prima o poi la cosa verrà fuori. Intanto, mi prendono le impronte digitali, mi prendono il sangue per fare un test del Dna, mi scattano le foto e mi tranquillizzano: mi dicono di stare calmo, che alla fine - se non sono Bruno Carbone - mi libereranno presto». Un mese dopo, il sedicente Domenico Alfano è ancora detenuto, il caso resta aperto, nell'imbarazzo generale. Ecco il finale della lettera: «Oggi 16/1/2020 sono da 28 giorni in cella, ma non sono la persona che stanno cercando. Tutta la mia vita sta finendo, tutte i miei impegni di lavoro infranti, il danno psicologico alla mia famiglia è indescrivibile, scrivo questa lettera in modo che tutti sappiano la verità sull'incubo che stiamo vivendo». Leggi l'articolo completo su
Il Mattino