Capodimonte, il saluto a Picasso tra il rombo degli aerei

Capodimonte, il saluto a Picasso tra il rombo degli aerei
Bye-bye, Picasso. Questo il saluto di Capodimonte al pittore catalano nel momento della dismissione del suo carrozzone: dipinti, foto, video, pupi, marionette, più la magia...

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Bye-bye, Picasso. Questo il saluto di Capodimonte al pittore catalano nel momento della dismissione del suo carrozzone: dipinti, foto, video, pupi, marionette, più la magia del sipario, dipinto per la prima di Parade al Theatre du Chatelet di Parigi. Era la primavera del 1917. C’era la guerra quando Pablo Picasso, Jean Cocteau, Igor’ Stravinskij e Léonide Massine partirono per l’Italia. Accettando la proposta di Sergej Diaghilev di mettere su uno spettacolo di balletti, obbedirono ognuno al proprio demone: pittura, scrittura, musica, disegno, danza, trovando nel nostro paese quanto cercavano, fervore ed emozioni per combattere morte e distruzione. A cent’anni da quel viaggio, più che mai aspettiamo di imbatterci nel “fantasma” che salva. Mi avvio in direzione di Capodimonte. Visito proprio alla fine la mostra «Picasso Parade: Napoli», aperta al pubblico per 81 felici giorni; poi sarà la volta del Teatro Grande degli Scavi di Pompei per nuove repliche (27, 28 e 29 luglio) dei balletti Parade e Pulcinella. D’obbligo chiudere nella sacralità della città sepolta viva.


Quei corpi fermati in un ultimo definitivo gesto, la loro essenzialità di forme segnarono l’immaginazione di Pablo fornendogli i “calchi” per un riedito classicismo. Se un museo per sua natura è scrigno designato a custodire tesori per preservarli dal mondo esterno, quel “fuori” inadeguato rispetto al “dentro” di un luogo dove si coltiva l’assenza di tempo, Capodimonte, con l’offerta «Picasso e Napoli», ha tenuto in vita, fra le altre sue esposizioni, una bolla d’aria a parte, un grembo fecondo da opporre ai disordini, al caos, alla normalità del male. Raggiungo l’ingresso del palazzo rosso. Ed ecco l’assordante rombo di un aereo che per alcuni secondi mi tiene in ostaggio. Il traffico aereo su Napoli ha subìto un forte incremento, sostengono gli esperti. Quindi la città dovrà accettare anche continui boati che a bassissima quota e a stretto ritmo la sfiorano lungo una traiettoria con passo di fuoco giusto sulla porzione di cielo del Real Museo di Capodimonte, quotidianamente colpito da tremori ai muri, alle suppellettili, alle opere là custodite, nonché ai polsi del direttore Sylvain Bellenger.

Mi affretto. Dopo un paio di sale sarò al cospetto della colorata insegna di Parade. L’ingresso è basso e in penombra, pare la porticina semovente di un circo che accompagna fino a un’altra possibile realtà; gesti parole corpi, evanescenti eppure concreti. Sotto l’arco del primo salone dell’appartamento reale, devo fermarmi; ad accogliermi c’è un nuovo forte boato che trasmette brividi alle pareti, agli oggetti, all’aria stessa. Napoleone I Imperatore non fa una piega. Dal grande olio su tela di François Gérard, mantiene la faccia rosea, soddisfatta; guarda lontano, oltre il profilo lunare di sua madre Letizia Ramolino Bonaparte che siede in basso, davanti al suo ritratto. Lucidata a cera dal Canova, neppure lei modifica la lieve rotazione del capo, né pare commuoversi per la musica d’angeli che proviene dalla stanza attigua. Le note di un pianoforte fioriscono dalle dita di un pianista che rimane imperturbabile anche quando l’ennesimo boato cancella a singhiozzo gli spazi delle melodie.

C’è varietà di esposizioni nelle sale adiacenti: quadri, schizzi, pagine autografe, immagini che raccontano lo stupore bambino di Pablo nel cedere all’urgenza di comporre una colomba, o ridefinire all’infinito il corpo di una donna facendolo sbocciare, o ritrarre, come ciocche di petali vivi. Poi, finalmente, il grande sipario a una delle pareti del Salone delle Feste. Difficile restarci sotto, a testa in su, nel tentativo di abbracciare con uno sguardo la compagnia di saltimbanchi intorno al tavolo di un’osteria, il cavallo alato, il Vesuvio, il mare, le nuances, l’energia di una città doppia, come la maschera che più la rappresenta: Pulcinella. Il pittore cubista stavolta ha reso riconoscibile il Sogno. Assegnandogli un’anima mediterranea ha impresso facce, moods, geni della nostra storia come specchio nel quale rifletterci.


Bye-bye, Picasso. Quel sipario, smontato e riposto nella cassa rettangolare con cui ha viaggiato fin qua, tornerà in Francia dopo la breve sosta a Roma in autunno, per essere infine custodito presso il Centro Pompidou di Parigi, forse in un deposito. Poco male, in fondo. Conforta saperlo al sicuro, trattato come una pepita da proteggere al buio, capace di battere, con la sola forza del suo brillìo, orrore e morte. Leggi l'articolo completo su
Il Mattino