«Nel Centro direzionale un polo per le start up»

«Nel Centro direzionale un polo per le start up»
«Serve un piano strategico di rigenerazione e di sviluppo per l'area orientale dove il Centro direzionale deve essere centrale». Ne è convinto Michelangelo...

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«Serve un piano strategico di rigenerazione e di sviluppo per l'area orientale dove il Centro direzionale deve essere centrale». Ne è convinto Michelangelo Russo, direttore del dipartimento di Architettura dell'Università Federico II, che spiega la sua visione su come andrà rivitalizzata tutta l'area dentro e fuori il Centro direzionale.

Come può essere rilanciata la cittadella dei grattacieli?
«Vorrei fare una premessa. Il Centro direzionale sconta un vizio di origine: è un progetto che non ha interpretato il carattere urbano di Napoli vista la tipologia con la quale è stato progettato. Questo non vuol dire che il Centro direzionale deve restare com'è, cioè incompiuto. Anzi, la mia premessa punta proprio ad un'idea di rilancio, dove mettere al centro la cittadella. Oggi c'è bisogno di una diversa sensibilità con la quale ripensare a questi spazi».

Ovvero?
«Il Centro direzionale può essere rigenerato e ripensato soltanto all'interno di un quadro di insieme, così sarà possibile stabilire quali siano le strategie e le linee di trasformazione della City. Credo che si debba lavorare molto sullo spazio pubblico, sulla rivisitazione progettuale di molti edifici che devono essere più flessibili anche al loro interno. E poi sul loro aspetto funzionale. Essere capaci di portare all'interno del Centro direzionale altre università: abbiamo già l'istituto Parthenope (oltre alla Pegaso, ndr), ma anche attività legate al mondo universitario e anche alla presenza di residenze. Il Centro direzionale potrebbero candidarsi a diventare un eco-space, accogliere start up e spazi, dei quali ha necessità la nostra città, legati alla ricerca, all'impresa, a nuovi incubatori. Da una parte c'è sicuramente questo tema di un progetto a mio avviso adeguato alla nostra città, dall'altra però credo che il Centro direzionale non possa non essere inserito in un processo virtuoso generale. Si potrebbe optare per un mix di funzioni all'interno del Centro direzionale. Ma è un tema che non può assolutamente risolversi con un progetto puntuale, cioè non è un problema solo del Centro direzionale, ma che andrebbe affrontato a livello urbano, ripensando alla sostenibilità dell'area est di Napoli».
 

La Regione Campania intanto a 200 metri di distanza ha in cantiere di costruire un nuovo quartier generale che rischia di desertificare ulteriormente il Centro direzionale. Cosa pensa al riguardo?
«Serve un piano strategico di rigenerazione entro cui valutare il progetto del nuovo headquarter della Regione. Un piano che è competenza istituzionale del Comune di Napoli. L'idea di un headquarter regionale ha una valenza soltanto all'interno di un discorso di insieme. Tutto deve rientrare in un programma. Se si lasciano gli uffici regionali bisogna dare a quegli spazi nuove funzioni. Altrimenti è soltanto uno svuotamento ulteriore. Io sono contro i progetti puntuali che non abbiano relazione con il contesto. Questo sarebbe un errore. Costruire un polo regionale senza preoccuparsi di cosa succede intorno sarebbe lo stesso errore che si fece quando si costruì il Centro direzionale».

Oggi secondo lei di cosa necessita l'area?
«Più verde, rendere più accessibili gli spazi aperti e gli spazi pubblici e far diventare l'area orientale una grande rete interconnessa di luoghi, di attrezzature, che possano essere accessibili a tutti. Questa è la mia idea della città orientale del futuro e il Centro direzionale in questo ha la sua valenza strategica».

Su cosa punterebbe?


«Uno dei grandi valori sui quali è possibile ripensare l'area orientale di Napoli è il tema dell'ecologia. Ci sono tanti spazi, tanti terreni permeabili e attraverso i quali si possono erogare servizi ecosistemici. Quest'idea può diventare un grande dispositivo sul quale ristrutturare la città. Pensare a Napoli come una grande città ecologica-funzionale, dove l'idea di un parco, dello spazio verde, permeabile, può diventare una sorta di dorsale. Immaginiamo giardini, piazze verdi, piste ciclabili, tutta una seria di spazi che collegano e connettono l'area orientale con il resto della città. Una zona oggi profondamente disconnessa e anche frammentaria. Una potentissima infrastruttura per quelli che sono i soggetti più fragili, tutti i cittadini e gli abitanti dei grandi quartieri di edilizia residenziale pubblica che costellano l'area orientale». Leggi l'articolo completo su
Il Mattino