Chiaia come «area neutrale» in cui scontrarsi e risolvere questioni nate in altre zone della città. I vicoli dei baretti usati da branchi di periferia - in...
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Ma torniamo agli atti, alle carte dell’inchiesta su una notte scandita da risse, manganellate, spari, culminata «solo» nel ferimento di sei minori. Tutti i soggetti ascoltati dalla Mobile raccontano lo stesso scenario, relativo ad una sorta di ronda organizzata da quelli di Napoli est, per stanare e punire un ragazzo («quello con gli occhiali»), probabilmente in relazione ad un precedente litigio. Spiega una ragazza, dopo essere stata medicata: «C’era stato un litigio alcuni mesi fa nella zona di piazza Mercato», a proposito del prologo di quanto avvenuto a metà novembre nella zona dei baretti. Ed è a partire da questo litigio che viene scelta Chiaia come terreno neutro, come zona di scontro, probabilmente dopo aver alimentato la sfida tramite facebook. È in questo scenario che si comprende la ricerca di quella notte del soggetto da aggredire e colpire con spranghe e coltelli, al termine di una spedizione punitiva che si consuma tra via Carlo Poerio e via Bisignano. Inchiesta coordinata dai pm Celeste Carrano e Antonella Fratello, due magistrati della Dda di Napoli sotto il coordinamento del procuratore aggiunto Filippo Beatrice, che hanno passato al setaccio facce e dinastie familiari dei soggetti coinvolti nella zuffa precedente agli spari. E basta scorrere i cognomi dei soggetti identificati che è possibile capire quanto fosse esplosivo lo scenario riscontrato domenica notte nel cuore della movida napoletana. C’erano almeno quattro famiglie di via Taverna del Ferro, il cuore del Bronx di San Giovanni: si tratta di famiglie note agli uffici di polizia giudiziaria, coinvolte nei processi per camorra, droga e estorsioni, rappresentate nella movida dai rampolli di terza generazione.
Ed è proprio uno dei feriti a puntare l’indice contro Giuseppe Vitale, a riconoscerlo in foto. Si chiama P.M. e dichiara: «Riconosco questa persona come quello che, alzandosi faticosamente perché stava soccombendo fisicamente nel contesto della rissa, estraeva dalla cintola dei pantaloni una pistola sparando all’impazzata verso il nostro gruppo che, di fronte a un soggetto con la pistola, scappava in direzione opposta. Ricordo che questo soggetto indossava occhiali tipo da vista del tipo rotondo...».
Qualcun altro descrive la storia in modo diverso. Parla G.F., ritenuto discendente di una famiglia di camorra della periferia orientale: «Due dei ragazzi di Fuorigrotta, che stavano soccombendo perché i loro avversari erano più numerosi, hanno estratto due pistole, di cui una modello revolver, ed hanno iniziato a sparare alla cieca provocando il fuggi fuggi generale». Ma chi è il minore che sta parlando? Un soggetto incensurato, anche se non del tutto sconosciuto alle forze dell’ordine e alla stessa Procura dei minori. Appena sette giorni prima della rissa di Chiaia, il rampollo di via Taverna del Ferro era stato fermato da una pattuglia della polizia del commissariato Decumani, perché in possesso di una pistola. Minore, armato, in possesso di auto e soldi di dubbia provenienza, ma non arrestato. In quell’occasione, infatti, la Procura dei minori aveva ritenuto di non chiedere la convalida del fermo di polizia, denunciando a piede libero il ragazzo. Ed è lo stesso minore ad aver avviato una sorta di ricostruzione dei fatti all’alba di quella domenica di sangue e paura, andando a controllare le condizioni di salute dei propri parenti e amici di San Giovanni. Ora la parola passa al gip, che in queste ore deve decidere se convalidare o meno il fermo a carico di Giuseppe Vitale, il ragazzo che «sparava all’impazzata», dopo aver avuto la peggio. Intanto, è possibile che anche gli altri protagonisti della zuffa verranno di volta in volta denunciati per rissa e porto di armi improprie, uno dei tanti episodi che ripropone l’emergenza movida: quella di Chiaia, scelta come «zona neutrale» per risolvere i problemi di branchi di periferie.
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Il Mattino