I pentiti? Uccisi o insani di mente. Processo-lumaca per il clan D'Alessandro

I pentiti? Uccisi o insani di mente. Processo-lumaca per il clan D'Alessandro
Un collaboratore di giustizia si avvale della facoltà di non rispondere, altri due non sono più in grado di intendere e di volere, un quarto è morto, ucciso...

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Un collaboratore di giustizia si avvale della facoltà di non rispondere, altri due non sono più in grado di intendere e di volere, un quarto è morto, ucciso in un agguato. E ormai alcuni dei verbali sono inutilizzabili, perché risalgono a fine anni ‘90, quando i pentiti venivano ascoltati con una normativa differente. Il nome sul fascicolo è di quelli noti alle aule di giustizia da oltre un ventennio, spacchettato in dodici faldoni negli archivi del tribunale di Torre Annunziata. È il processo «Sigfrido», che vede imputati pezzi da novanta del clan D’Alessandro di Castellammare di Stabia, quelli che gestivano le estorsioni della camorra stabiese tra il 1995 e il 1999.

 
Il blitz delle forze dell’ordine portò a decine di arresti, con i processi che sono culminati con pesanti condanne per Pasquale D’Alessandro e gli altri. Poi la Cassazione ha annullato tutto, riscontrando un vizio di forma durante le indagini preliminari. Un cavillo che ha fatto ripartire da zero l’intero procedimento, ormai vent’anni dopo. Se all’epoca del primo processo tutti scelsero di farsi giudicare in abbreviato per usufruire di sconti di pena, i termini della prescrizione che si avvicinano hanno spinto praticamente tutti a scegliere il rito ordinario.

Con Pasquale D’Alessandro alla sbarra ci sono altre diciotto persone. Tutti o quasi hanno scontato altre condanne, altri sono tornati in carcere per reati differenti, qualcuno è tornato libero. Altri tempi, altra epoca, altra camorra. Ma sempre lo stesso processo. Il fascicolo è stato ereditato dal pm Giuseppe Cimmarotta, che entro fine anno potrebbe formalizzare le sue richieste di condanna. La lista dei testimoni dell’accusa, infatti, è ormai stata esaurita. Dopo gli investigatori, sarebbe toccato a quattro pentiti, ma nessuno sarà in grado di farlo.

Antonio Fontana è stato ucciso in un agguato ad Agerola due anni fa. Ieri mattina, Gaetano Martinelli – scortato dopo l’accompagnamento coatto disposto in seguito al suo ultimo rifiuto di recarsi a Torre Annunziata – si è avvalso della facoltà di non rispondere, peraltro dopo che due avvocati d’ufficio si sono rifiutati a loro volta di presenziare. Infine, gli altri due ex collaboratori di giustizia oggi non sono reputati più sani di mente. Il rinvio a novembre, disposto dal presidente di collegio Francesco Todisco, servirà a decidere su una lista testi presentata dall’avvocato Alfonso Piscino. Ci sono già dei verbali acquisiti, ma potrebbe essere concesso il controesame.


Pasquale D’Alessandro ha assistito all’udienza in videoconferenza dal carcere di Sassari, mentre il solo Luigi Vitale ha deciso di presenziare nonostante sia detenuto. Ugo Lucchese, invece, è tornato libero e non era in aula. L’altro detenuto è Antonino Esposito Sansone, poi c’è il collaboratore di giustizia Ciro Avella, e ancora tutti gli altri a piede libero: per una lista imputati di diciannove nomi, nel collegio difensivo ci sono tra gli altri anche gli avvocati Antonio de Martino, Francesco Schettino, Francesco Romano, Renato D’Antuono e Gennaro Somma. Il Comune di Castellammare è parte civile, in un giudizio che tra rinvii e colpi di scena rischia di entrare negli annali come il più lampante esempio di «processo lumaca».
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Il Mattino