Covid-19 a Napoli, lo pneumologo del Cotugno: «Così abbiamo capito come curare i pazienti»

Covid-19 a Napoli, lo pneumologo del Cotugno: «Così abbiamo capito come curare i pazienti»
Il Coronavirus? «Non è diventato meno contagioso o meno pericoloso ma abbiamo imparato a curarlo meglio: sappiamo che il Covid-19 non provoca, come dicevano in Cina,...

OFFERTA SPECIALE

2 ANNI
99,98€
40€
Per 2 anni
SCEGLI ORA
OFFERTA FLASH
ANNUALE
49,99€
19€
Per 1 anno
SCEGLI ORA
 
MENSILE
4,99€
1€ AL MESE
Per 3 mesi
SCEGLI ORA

OFFERTA SPECIALE

OFFERTA SPECIALE
MENSILE
4,99€
1€ AL MESE
Per 3 mesi
SCEGLI ORA
 
ANNUALE
49,99€
11,99€
Per 1 anno
SCEGLI ORA
2 ANNI
99,98€
29€
Per 2 anni
SCEGLI ORA
OFFERTA SPECIALE

Tutto il sito - Mese

6,99€ 1 € al mese x 12 mesi

Poi solo 4,99€ invece di 6,99€/mese

oppure
1€ al mese per 3 mesi

Tutto il sito - Anno

79,99€ 9,99 € per 1 anno

Poi solo 49,99€ invece di 79,99€/anno
Il Coronavirus? «Non è diventato meno contagioso o meno pericoloso ma abbiamo imparato a curarlo meglio: sappiamo che il Covid-19 non provoca, come dicevano in Cina, una polmonite virale che va trattata in rianimazione, ma una malattia sistemica complessa di tipo tromboembolico». Così Giuseppe Fiorentino, pneumologo, riabilitatore cardiopolmonare del Monaldi, uno dei principali protagonisti del Cotugno nella crisi scatenata dalla pandemia.

 
In due mesi cosa è cambiato nel decorso clinico dei pazienti Covid-19?
«Il virus conserva la sua pericolosità, ma gioca a nostro vantaggio l'incidenza che si è molto ridotta. Il lockdown ha impedito al virus di propagarsi. Una riduzione dei casi che tocchiamo con mano, all'inizio qui al Cotugno arrivava un'ambulanza ogni 10 minuti. Ora sono quattro o cinque al giorno».

Perché si vedono meno decessi?
«Nei primi giorni eravamo fuori bersaglio nella cura. Siamo partiti dalla teoria cinese secondo cui il virus provocava una classica sindrome da distress respiratorio acuto (Ards), come l'aviaria. Il paziente appena arrivava in ospedale era intubato. Non ha funzionato e quindi abbiamo capito che la polmonite da Sars Cov 2 era solo il primo momento di una patologia più grave, sistemica, che si esprime soprattutto con un quadro tromboembolico a prevalente espressione polmonare in cui la rianimazione è un sintomatico. Il quadro della malattia è di tipo vasculitico infiammatorio diffuso con esito in trombosi».

E tutto questo quando lo avete capito?
«Dopo la prima settimana».

Anche al Nord iniziava ad affacciarsi tale ipotesi. In cosa la Campania si è differenziata?
«Forse nei tempi: noi abbiamo avuto 15 giorni in più, il tempo di riflettere. Al Nord hanno atteso i risultati delle prime autopsie (che qui non sono mai state fatte per carenze strutturali, ndr) per interrogarsi sulla natura della Sars Cov 2. Quando lo hanno capito erano già travolti. Noi abbiamo quasi subito iniziato a trattare la malattia come se fosse una tromboembolia polmonare. Per questo i pazienti dimessi continuano i farmaci anticoagulanti per 6 mesi per evitare ictus e infarti a distanza di settimane».

La cosiddetta cura Ascierto: l'avete usata?
«In alcuni casi si. Non è ancora chiaro quando la somministrazione ottiene i maggiori frutti evitando gli effetti avversi. Dati che ci darà la sperimentazione ormai terminata. Sulla scia concettuale di dover bloccare l'infiammazione e le interleuchine abbiamo deciso però di usare il cortisone che i cinesi invece dicevano andasse assolutamente evitato».

Avete avuto coraggio?
«Intuito direi e alleanza terapeutica con alcuni pazienti, illustri clinici».

Per esempio?
«Un noto primario di un pronto soccorso era in fase critica, dovevamo intubarlo. Decidemmo insieme di usare il cortisone ad alte dosi nel momento esatto in cui notammo che iniziava la produzione di anticorpi per poi procedere ad una ventilazione non invasiva. Ha funzionato bene».

Il semplice cortisone un'arma in più?
«Una delle armi vincenti ma solo se viene somministrato in un momento preciso del decorso clinico. Così anche la ventilazione non invasiva. Non si può sbagliare».

Il virus ha mutato la sua virulenza?
«In letteratura è descritta, per altre epidemie, compreso l'Aids, un'attenuazione della cattiveria dei virus, così come è descritta una seconda ondata che temiamo vista la leggerezza con cui molti escono di casa senza precauzioni e mascherine. Il distanziamento ha evitato il collasso del sistema sanitario e ora il vantaggio è avere terapie migliori. Questa malattia dura anche 20 o 30 giorni prima di guarire».

I farmaci vanno dunque dosati e scelti a seconda dei momenti?
«Si, all'inizio lavora l'infettivologo con antivirali, aspirina, antibiotici, clorochina, il supporto d'ossigeno. Quando la febbre aumenta e gli indici infiammatori schizzano bisogna agire con antinfiammatori e anticoagulanti ad alte dosi».

Qual è stato il valore aggiunto del Cotugno?

«Avere personale addestrato nella cura delle malattie infettive, aver sempre lavorato in team multidisciplinari con molti giovani motivati sotto la guida di tutor esperti e un management aziendale che ha chiesto a noi clinici cosa serviva attuando con rapidità ed efficacia le richieste. Addirittura ci è stato concesso di avere due fisioterapisti che con attrezzi e cyclette entrano in azione subito dopo la fase acuta, già in isolamento. Circostanze che fanno del nostro direttore sanitario e del manager quasi un inedito nella mia carriera visto che di solito c'è chi decide e chi esegue senza nemmeno essere consultato, scontando però in quel caso gravi errori di prospettiva e organizzativi». Leggi l'articolo completo su
Il Mattino