Incertezze, timori, intere giornate passate chiusi in casa e al telefono in attesa di prendere la linea con la Asl o con il medico di base. Poi burocrazia, sovraccarichi e...
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Quando siete partiti?
«Siamo partiti il 9 agosto per la Sardegna. Allora non era ancora scoppiata l'emergenza. Poi, mentre eravamo lì, a Orosei, sono tornati il virus e la paura. Anche il medico del paese si è rivelato contagiato nei giorni a ridosso di Ferragosto».
Non siete stati prudenti e per questo avevate paura?
«Al contrario, la nostra è stata una vacanza familiare. Non siamo certo stati in discoteca a ballare fino a tarda notte, ma abbiamo trascorso il tempo tra parenti e in spiaggia. Eppure, al ritorno, la preoccupazione c'era».
Quando siete tornati a Napoli il 22 cosa avete fatto?
«Ci siamo sentiti smarriti. Sapevamo solo che intanto era scoppiata l'emergenza in Sardegna, ma non avevamo nessun obbligo da rispettare, né al porto erano stati organizzati tamponi. Non capivamo bene cosa fare. La Regione aveva imposto il tampone per chi tornava dall'estero ma non per chi, come noi, rientrava dalle Regioni a rischio in Italia».
Quindi?
«Quindi, basandoci sulle dichiarazioni di De Luca che invitava i cittadini al senso di responsabilità, quando siamo tornati a Napoli abbiamo provato a seguire la procedura valida per chi chi rientrava dall'estero. Lunedì 24 abbiamo inviato una mail alla Asl e il giorno dopo potevamo presentarci a fare il tampone al presidio del Frullone. In alternativa, l'azienda ci aveva detto che potevamo presentarci direttamente al presidio e metterci in fila. Abbiamo scelto la prima strada, e il giorno 25 abbiamo fatto il tampone. Questo passaggio è stato relativamente semplice: abbiamo compilato un modulo e dopo 45 minuti di attesa all'aperto ci hanno fatto il test».
Anche la bambina?'
«Sì, anche nostra figlia l'ha dovuto fare, altrimenti l'avrebbero isolata da noi. C'erano un centinaio di persone nel tardo pomeriggio, tutti in fila».
E dopo il tampone?
«Qui è iniziato il calvario. La Asl ci aveva detto di aspettare 72 ore, ma in realtà abbiamo aspettato cinque giorni in più senza poter uscire e andare al lavoro. Trascorso il termine di tre giorni, abbiamo provato a chiamare di continuo la Asl al numero verde informativo, ma dopo un'ora di attesa al telefono ci rispondevano con informazioni confuse: il numero verde della Asl ci diceva di chiamare il medico di base e il medico di base ci diceva di chiamare la Asl. Un rimbalzo di responsabilità, insomma. In uno dei tanti tentativi al telefono, dal centralino del numero verde ci hanno detto: Se non avete ricevuto tempestivamente i risultati, probabilmente i test sono negativi. È però assurdo che su un tema tanto delicato non ci abbiano dato certezze. Poi c'erano tutta un'altra serie di numeri Asl, non verdi, ma sempre occupati. Per giorni e giorni non sono riuscito a parlarci, poi finalmente mi hanno risposto l'altro ieri nel tardo pomeriggio e mi hanno detto che i tamponi erano negativi. Dopo poco mi hanno inviato il referto via mail».
La risposta è arrivata solo dopo insistenti telefonate?
«Sì, Io ho potuto rimediare in parte con lo smart working, ma chi fa lavori manuali ha perso soldi a causa dell'attesa. Alcuni nostri parenti, ripartiti con noi dalla Sardegna verso l'Inghilterra, hanno ricevuto l'esito del tampone dopo sole 24 ore dall'arrivo nel Regno Unito. Per noi ci è voluto il sestuplo del tempo». Leggi l'articolo completo su
Il Mattino