Intubati, ricoverati in semintensiva, allettati nei reparti di malattie infettive e pneumologia e poi guariti dal Covid-19. Quali sono gli esiti della Sars Cov-2? Cosa ne è...
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LE STORIE
Vittoria, 63 anni (il nome è di fantasia) è un’infettivologa ospedaliera. Si è ammalata a marzo ed è stata ricoverata al Cotugno: «Mi hanno preso per i capelli usando cortisone ed eparina quando nessuno in Italia li consigliava. Sono grata ai colleghi anche se ho fatto da cavia. Mi sono infettata sul posto di lavoro ai primi di marzo, all’inizio ho provato a curarmi da sola a casa con antiretrovirali, idrossiclorochina, antinfiammatori e antibiotici. Sembrava andasse bene ma sono peggiorata e ho avuto un collasso. All’alba del 16 marzo avevo una polmonite severa ma dopo 4 o 5 giorni i tamponi erano già negativi. Il virus anche quando la riposta anticorpale è buona bypassa la risposta immune e attacca il polmonare con l’infiammazione. Ho fatto il Tocilizumab e alla seconda fiala ho evitato di finire in rianimazione. Per molti giorni ho espirato con la maschera di Venturi e una sacca di riciclo dell’anidride carbonica». Un’esperienza durissima: «Una lunga battaglia in salita. Alla mia età ho imparato a respirare. Adesso sto abbastanza bene. Ho fatto una lunga riabilitazione, alla Tac ho ancora qualche reliquia infiammatoria ai polmoni ma la spirometria è buona e la prossima settimana ricomincio a lavorare».
ESITI SENZA DANNI
Decorso completamente diverso per Antonio Corcione, primario anestesista del Monaldi che ha superato brillantemente il ricovero, per Ludovico Docimo, ordinario della Vanvitelli che nonostante la fase critica della malattia al Cotugno si è ripreso senza alcun postumo e per Luigi D’Angelo che nonostante sia stato intubato al Policlinico è tornato come nuovo al suo lavoro di docente Otorino della Vanvitelli. «Lo devo al fatto di non aver mai fumato e di essere un esperto apneista», commenta quest’ultimo. È un sub professionista, istruttore della nazionale e grande sportivo anche Vittorio Helzel, 65 anni primario del pronto soccorso dell’ospedale del mare il cui decorso clinico è stato invece completamente diverso. «Sembrava una banale febbricola - racconta - ma poi al Cotugno ho avuto una crisi ipertensiva e aritmica gravissima per la miocardite. Ho evitato la rianimazione per scelta personale e mi è andata bene». A distanza di un mese e mezzo dalle dimissioni ancora combatte con i postumi dell’infezione: «Mi sono salvato perché facevo eparina da tempo ad altissimo dosaggio. Continuo con gli anticoagulanti orali per altri 6 mesi. Ho evitato l’embolia solo per questo. Ho scelto la maschera a ossigeno quando ero da rianimazione. Sono del mestiere e so gestire il casco. Al polmone sinistro ho delle reliquie e alla spirometria ho perso 25-26 punti di funzionalità. Sto facendo riabilitazione e nuoto. Avevo un’altissima carica virale all’inizio di marzo e valori infiammatori fuori controllo (Interleuchina 6 a 30 mila e Pcr cento volte più del normale nda)». Eparina e cortisone sono stati i farmaci che ho usato - spiega Helzel - intuendo che le indicazioni dei cinesi di senso contrario fossero errate. Se fossi stato dall’altro lato della barricata avrei intubato il paziente Helzel. Fu una nottata importante col rianimatore. «Oggi alla Tac - prosegue ho ancora qualcosa a un polmone a livello basale e apicale e la radiografia porta ancora segni di infiammazione. Farò un controllo a settembre. Ho il cuore sano e per questo ho superato gli episodi aritmici. Sono state prove da sforzo importanti. Ho tantissimi anticorpi ma ancora segni di infiammazione. L’ho notato giovedì scorso dal prelievo. La vena era molto dura. Ora voglio verificare se si è innescata un’autoimmunità». Leggi l'articolo completo su
Il Mattino