Coperte di raso e tisane misteriose: così i bambini di Torre Annunziata entravano all'inferno

Coperte di raso e tisane misteriose: così i bambini di Torre Annunziata entravano all'inferno
Marciume, orrore, terrore: dopo vent'anni un marchio indelebile. Un bollo che ha suggellato il primo, grande scandalo pedofilia in Italia. Una vicenda emersa con un filo di...

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Marciume, orrore, terrore: dopo vent'anni un marchio indelebile. Un bollo che ha suggellato il primo, grande scandalo pedofilia in Italia. Una vicenda emersa con un filo di fiato. Mezze parole terribili, appesantite da sdegno, paura, minacce e vergogna. Dettagli da brivido nelle carte degli avvocati. «Una coperta di raso brillante di colore rosso su un grande letto», il patibolo dei bambini. In camera una grande pianta ornamentale e qualcuno che filmava l'orrore. Ma prima, una tisana calda e dolce con dentro chissà cosa per tenere buoni i piccoli e tentare di placare il dolore fisico.


Era il 1997. La notizia fu come una bomba. Tutto cominciava con i bidelli della scuola. Le vittime, fra i sei e i sette anni di età. All'inizio la realtà appare confusa, imprecisato il numero degli «orchi» e anche quello dei bambini. Scenario, l'inquietante rione dei Poverelli a Torre Annunziata. Palazzine popolari costruite dopo il terremoto dell'80, quando intorno al Vesuvio prolificano i traffici illeciti; si moltiplicano affiliati e gregari di alcuni dei clan più agguerriti della provincia di Napoli e non solo. Il luogo degli abusi è l'elementare del rione fatto di case occupate abusivamente e sgomberi difficili. Un quartiere di bambini cresciuti a pane e violenza; latte e blitz delle forze dell'ordine; droga e pistole nascoste nelle culle.
 
Nel 1995 un gruppo di criminali composto da uomini e donne, proprio nei bagni dell'edificio scolastico riesce a dar vita all'atroce storia degli stupri sugli scolaretti. Ventritrè e più anni fa, una sorta di apripista ai tanti orrori poi emersi un po' ovunque. Un'anteprima di quello che sarebbe diventato un fenomeno che ha modellato le più recenti teorie psichiatriche. Nessuna insegnante vide, ma tre madri si accorsero che i propri figli soffrivano di qualcosa. Il confronto fra le donne attivò un inquietante campanello d'allarme. Qualcuna si rivolse agli psicologi; non ci volle molto per capire cosa stesse succedendo. Allora come ora però, fu difficile tirare fuori la verità. Come sostengono gli psichiatri in maniera ormai certa, «scatta un meccanismo per cui i bambini abusati ritengono sia colpa loro. In più, viene loro inflitta anche la paura della ritorsione nei riguardi dei familiari». Il silenzio diventa tombale, il terrore atroce e sopportato chissà come.

Cominciano le denunce, ma in quel rione la gente non vuole crederci. Quelle tre madri sono tre nemiche e ai ragazzini vengono fatte indossare magliette con la scritta: «Sono tutti innocenti». Paura sovrana e sottovalutata, fino all'omicidio di Matilde Sorrentino, mamma di uno dei piccoli violati. Un'altra di quelle tre madri una sera chiamò qui a Il Mattino. Chiese di non entrare dall'ingresso principale, di non lasciare i documenti in portineria. Lei e suo marito arrivarono in redazione come topi: «Ero sul balcone a stendere il bucato e mio figlio era con me - raccontò la signora - Al palazzo di fronte si affacciò una signora che conoscevamo da tanto. Con lo sguardo basso il bambino mi disse che quella donna l'aveva vista su una rivista pornografica. Sapevo che non era possibile e che lui non avesse mai visto giornali del genere. Cominciai a indagare, venne fuori l'inferno. Più tardi - disse ancora - la psicologa mi spiegò che mio figlio aveva attivato un meccanismo all'apparenza perverso per farmi capire che gli stavano accadendo delle cose e mi stava chiedendo aiuto. Abbiamo denunciato, ma nessuno vuole crederci, la gente nei negozi ci guarda di traverso, qualcuno ci minaccia. Aiutateci». Il pezzo fu pubblicato, il processo andò avanti.


«Fu difficile far credere che quelle vicende erano vere. È stato un procedimento penale difficile, pericoloso», dice Elena Coccia, avvocato penalista di Napoli, che decise di difendere gratuitamente le tre donne e poi i figli di Matilde Sorrentino, uccisa poche oro dopo le sentenze di condanna. «Anche gli avvocati si divisero fra loro - racconta Coccia - La pedofilia era un inferno ancora sommerso. Parte degli avvocati ritenevano che quegli atti di pedofilia non erano possibili. Molti miei colleghi erano convinti che fosse tutto inventato e questo rafforzava la tracotanza del quartiere, delle mogli e delle fidanzate dei pedofili. Avevamo paura di passare nel centro di Torre Annunziata, per raggiungere il tribunale passavamo da una bretella non ancora ultimata dell'autostrada. Ma ci scoprirono e ci attaccavano con pietre e terra». Il tentativo di comprare il silenzio delle donne attraversò varie fasi: Matilde e un'altra mamma decisero di affrontare Tamarisco e suonarono al cancello della sua villa: «Queste sono 100mila lire e ora andatevene». Nessuno credeva a quella storia così infamante, ma la camorra condannò a morte due bidelli fra i 17 indagati coinvolti. Il resto della città restò nelle retrovie. Fino all'omicidio di Matilde Sorrentino, quando cinquemila persone scesero finalmente in piazza.
 
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Il Mattino