Cosimo Di Lauro morto in carcere, si indaga sull'abuso di farmaci: «Era sedato da troppi anni»

Cosimo Di Lauro morto in carcere, si indaga sull'abuso di farmaci: «Era sedato da troppi anni»
L’autopsia è stata fissata per domani. Il pm della Procura di Milano, Roberto Fontana, che indaga per omicidio colposo sulla morte in carcere di Cosimo Di Lauro, ha...

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L’autopsia è stata fissata per domani. Il pm della Procura di Milano, Roberto Fontana, che indaga per omicidio colposo sulla morte in carcere di Cosimo Di Lauro, ha fatto in fretta. C’è necessità di fare chiarezza sulla fine di un detenuto difficile, rimasto per 17 anni e mezzo in regime di carcere duro al 41-bis cambiando sei strutture penitenziarie. Un detenuto che accelerò da capoclan la fase più violenta e sanguinosa della guerra di Scampia, arrestato il 22 gennaio del 2005. Nessun segno visibile di suicidio, il corpo immobile sul letto della cella dove passava l’intera giornata arrivando a fumare fino a cinque pacchetti di sigarette. Morto nella notte tra domenica e lunedì, ma gli agenti penitenziari se ne sono accorti alle sette del mattino. Come è morto Cosimo Di Lauro, feroce capoclan, nemico giurato dei clan degli spagnoli-secessionisti di Scampia, ma negli anni di detenzione diventato un fantasma, l’ombra di se stesso, trasandato, con la barba lunga, lo sguardo nel vuoto. Come è morto Cosimo Di Lauro, su cui a lungo gli avvocati Saverio Senese e Marcella Cuomo hanno cercato di attirare l’attenzione sollecitando più assistenza psichiatrica e medica. Lo accerterà l’autopsia, con le conseguenti verifiche della Procura milanese. 

Di certo, per anni Di Lauro è stato sottoposto a un bombardamento di farmaci, tra ansiolitici, psicofarmaci neurolettici, tranquillanti ipnoinducenti. Somministrazioni prescritte già nel carcere romano di Rebibbia, dove nel gennaio 2008 scriveva il dirigente sanitario Sergio Fazioli: «Dall’undici dicembre 2007, il Di Lauro ha iniziato a manifestare disturbi del comportamento caratterizzati da ansia a confusione mentale con atteggiamenti bizzarri».

Due anni dopo, la stessa struttura sanitaria di Rebibbia certificava che Di Lauro aveva «disturbo del sonno cronico, con atteggiamenti istero-temperamentali», ma soprattutto che da due anni era sottoposto a «copiosa terapia farmacologica».

Sedato, curato con farmaci, considerato però sempre un «simulatore» dai magistrati della Dda. Ricorda Vittorio Giaquinto, che ha difeso Cosimo Di Lauro agli inizi della sua detenzione: «Mi resi conto già allora che non stava bene, avvisai i familiari che però sminuivano e negavano». In una delle relazioni sanitarie carcerarie, si riferiscono le parole di quello che fu un temuto e implacabile capoclan, che parlava di «voci» e diceva: «Mi raccontano di mia moglie, cose intime che la riguardano. Ma di notte sento dei fruscii dal citofono della cella e so che lo fanno apposta per non farmi dormire».

Il 31 maggio 2011, il dottore Dario Mazza, psichiatra forense e consulente dei difensori, sottolinea come da tre anni Cosimo Di Lauro sia sottoposta a una «terapia farmacologica particolarmente incisiva e sedativa a base di ansiolitici, ipnotici e tranquillanti». Bombe farmacologiche che, nel tempo, hanno reso sempre più apatico e assente Di Lauro che, a partire dal 2011, ha rifiutato il colloquio in carcere con i suoi avvocati e persino con la mamma. L’ultimo a vederlo in famiglia è stato il fratello Antonio, che riferì agli avvocati: «Era irriconoscibile, in condizioni animalesche». 

Apatico tanto da non aver mai presenziato in video alle udienza dei suoi processo. Del tutto disinteressato alle due assoluzioni per gli omicidi di Attilio Romanò e Gelsomina Verde, o per gli ergastoli avuti invece per gli omicidi di Massimo Marino e Mariano Nocera. In ogni udienza, alle diverse sezioni di Corte d’Assise napoletane, arrivava una dichiarazione di rinuncia a essere presente. Anche quelle anomale: mai firmate da Cosimo Di Lauro, sempre da uno dei sottufficiali della polizia penitenziaria. Assenza anche nella forma sugli atti giudiziari, tanto da «viziare» e mettere a rischio la validità dei processi.

Non deve essere stata facile la gestione del detenuto Di Lauro Cosimo per i direttori delle sei strutture penitenziarie in cui è stato rinchiuso in questi anni. Lo dimostrano i due brevi trasferimenti per verifiche medico-sanitarie al Policlinico di Padova e all’ospedale civile dell’Aquila, dove nel luglio 2012 fu sottoposto a un trattamento sanitario obbligatorio, il famoso Tso. Lo ricordò due anni dopo una relazione della struttura psichiatrica della Asl di Cuneo, che però denunciò: «Purtroppo, dai documenti visibili, non si riesce a evincere la diagnosi di dimissione, in un soggetto riluttante e poco propenso al dialogo che rifiuta la terapia farmacologica ad eccezione dei sonniferi, probabilmente per gli effetti collaterali a livello della sfera sessuale patiti in passato. Nega decisamente l’abuso di sostanze stupefacenti e alcoliche».

Gli ululati notturni, la cella mai pulita e riempita di urine a terra, il rifiuto prolungato a lavarsi e farsi la barba hanno creato tensioni con gli altri detenuti. Tanto da spingere più volte i diversi direttori penitenziari a tenere Cosimo Di Lauro in maggiore isolamento per evitargli aggressioni. Una situazione difficile che il vice commissario della polizia penitenziaria nel carcere di Cuneo, Carmine Tarantino, avvisava: «Il caso è diventato ormai quasi insostenibile, poiché gli episodi che vedono Di Lauro protagonista nelle vesti di matto o presunto matto, si susseguono quotidianamente». 

Il giudice del tribunale di sorveglianza di Cuneo, Cristiana Gavoglio, non rimase insensibile alle segnalazioni. E dispose «il trasferimento del detenuto in un istituto penitenziario in cui sia in atto in convenzione con lo psichiatra per accertamenti sulle condizioni psichiche per non più di 30 giorni». Il trasferimento non ci fu mai, Cosimo Di Lauro rimase nel penitenziario di Cuneo per il sospetto che, in quel momento, riuscisse a simulare una incapacità mentale da oltre sei anni. Lo ribadì il pm della Dda napoletana, Stefania Castaldi, che scrisse: «È evidente che il Di Lauro Cosimo appare orientato nel tempo e nello spazio e, soprattutto, pienamente inserito nel suo contesto e nel suo percorso criminale». Eppure, il direttore del carcere di Cuneo, Claudio Mazzeo, ribadì: «A mio parere è necessario un periodo di osservazione psichiatrica sul detenuto per accertarne le condizioni di salute». 

Detenuto non facile, del tutto disinteressato ai suoi processi. Sedato e privo di stimoli, tanto che scriveva il dottore Pasquale Clemeno responsabile del presidio sanitario della Asl di Cuneo: «Non è possibile l’esplorazione del pensiero, né la valutazione dell’umore». E ne ha dovuto prendere atto anche la mamma di Cosimo Di Lauro, che aveva interrotto i colloqui che non riusciva a ottenere. Ricevuta come parte lesa la notifica sull’autopsia disposta dalla Procura di Milano per domani, Luisa D’Avanzo dovrebbe nominare un suo consulente medico legale. Ma sembra difficile lo faccia, o riesca a farlo. Cosimo lo spietato, «il corvo», si era ritirato nel suo mondo. E neanche il padre, Paolo Di Lauro, anche lui detenuto al 41-bis come l’altro figlio Marco, ne ha più avuto notizie. E Di Lauro padre, per tutti a Scampia «Ciruzzo il milionario», dopo l’avvento di Cosimo al suo posto, la guerra sanguinosa e l’arresto, ha rinunciato a una difesa nei processi preferendo sempre avvocati di ufficio. Più lucido e freddo, consapevole di una posizione diventata indifendibile. 

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Il Mattino