Covid a Napoli, intervista al primario Gentile: «Nove ricoverati su dieci sono senza vaccino, allarme per le donne in gravidanza»

Covid a Napoli, intervista al primario Gentile: «Nove ricoverati su dieci sono senza vaccino, allarme per le donne in gravidanza»
Professor Ivan Gentile - ordinario di Malattie infettive e direttore dell'Uoc di Malattie infettive del policlinico universitario dell'università Federico II -...

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Professor Ivan Gentile - ordinario di Malattie infettive e direttore dell'Uoc di Malattie infettive del policlinico universitario dell'università Federico II - davvero l'epidemia sta rallentando o dobbiamo temere un'altra ondata?


«Nel corso di questi mesi è sensibilmente cresciuto il volume delle dosi di vaccino a disposizione e si è progressivamente rafforzata la capacità operativa dei centri vaccinali. Il collo di bottiglia oggi è purtroppo rappresentato da chi rifiuta il vaccino, sia perché è contrario sia perché è impaurito».

La preoccupa il rallentamento della campagna vaccinale?
«Il dato sembra ormai omogeneo in tutta Europa: permane una quota di resistenti e dunque approvo la scelta del governo di estendere il Green pass».

Qual è il paziente-tipo nel suo reparto?
«Il 90 per cento è costituito da pazienti non vaccinati. E poi, dispiace dirlo, molte donne in gravidanza purtroppo non coperte da immunizzazione».

Le donne in gravidanza sono a rischio?
«Rientrano nella categoria soggetti fragili e poi registriamo una tendenza alla esitazione vaccinale delle donne in gravidanza perché temono danni nel prosieguo della gestazione».

Ed è un timore fondato?
«Assolutamente no. Anzi, dati recentissimi in nostro possesso, corroborati da robusti studi e analisi anche negli Usa, dimostrano proprio il contrario: non c'è alcun rischio neppure nella fase più delicata che può considerarsi quella del primo trimestre».

Sono cambiati negli ultimi mesi i protocolli terapeutici per i pazienti Covid?
«In un anno e mezzo la letteratura medica al riguardo si è ampliata e arricchita. Rispetto a marzo 2020 abbiamo acquisito conoscenze e tecniche di approccio validate da migliaia di casi osservati».

Per esempio?
«Per esempio non vanno assolutamente somministrati nelle forme lievi né gli antibiotici né i cortisonici. Ma abbiamo sviluppato anche armi potenti che vanno usate in maniera intelligente e appropriata».

Quali armi?
«Gli anticorpi monoclonali che consentono di trattare anche pazienti fragili, convocati in ospedale, sottoposti a specifico trattamento e poi rimandati a casa per osservarne l'evoluzione clinica. I monoclonali sono la nuova frontiera».

Con quali risultati?
«In larghissima misura positivi. È chiaro però che è necessaria una interazione tra struttura ospedaliera e medicina territoriale. Sono i medici di base che devono segnalarci i casi su cui intervenire per fare in modo che questi pazienti siano convocati da noi, sottoposti a trattamento e poi seguiti. Gli elementi determinanti sono l'interazione, il monitoraggio e la tempestività delle cure ospedaliere che devono essere quanto più precoci possibile rispetto all'eventuale sviluppo della malattia».

Il fattore età è un deterrente?
«Pochi giorni fa abbiamo trattato con i monoclonali presso il Centro da me coordinato una paziente di cento anni: ora sta bene».

Al momento quanti posti letto sono occupati nel suo reparto da pazienti Covid?
«Sei su dieci. Si tratta di pazienti a bassa intensità ma in qualche caso trattiamo anche malati in sub-intensiva».

È ottimista sulle capacità di risposta terapeutica?


«I casi vanno valutati singolarmente. Esiste, certo, la malattia ma esiste soprattutto l'ammalato. Ecco, dobbiamo impedire al virus di premere il grilletto». Leggi l'articolo completo su
Il Mattino