Covid a Napoli: «Il nostro anno di pandemia vissuto in 4 in un basso di 20 metri quadri»

Covid a Napoli: «Il nostro anno di pandemia vissuto in 4 in un basso di 20 metri quadri»
«Sì, è tutto qui, c’è cucina, soggiorno, camera da letto, proprio come lo vedete». Chiara Maiorano apre il suo terraneo di 20 metri quadri...

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«Sì, è tutto qui, c’è cucina, soggiorno, camera da letto, proprio come lo vedete». Chiara Maiorano apre il suo terraneo di 20 metri quadri in via Concordia. È la sua casa da 24 anni, da quando con il marito Ciro si è trasferita ai Quartieri spagnoli dove una «casa» era più accessibile per le loro tasche. Di fronte alla porta, una lavatrice che va a tutto spiano, di fianco il forno e i fornelli. Sopra il mobile con le stoviglie, una sfilza di bottiglie di liquore e spumante messe lì d’arredo e, chissà, per qualche occorrenza. La porta con gli infissi economici, che è anche finestra, è quasi sempre aperta. È la casa dove Chiara, con suo marito Ciro, la figlia Pina e il nipote Patrizio di sei anni vivono i mesi del Covid, con annessi lockdown e zona rossa. Tutti a casa, tutti chiusi, ma qui è davvero più difficile.  

Patrizio ha chiuso l’album da colorare e si è fiondato a giocare con il suo telefonino. «Lo ha avuto solo a Natale, un’occasione» dice la madre. Di lato al divano che, aperto la sera, diventa il letto di mamma e figlio, c’è una serie di testimonianze di fede: Padre Pio, papa Francesco, il cuore di Gesù, un quadro della Madonna. Sulla cassettiera, affiancata all’unica finestra dove sono adagiati due cuscini che prendono aria, due Madonne di Lourdes di plastica. Di fronte, separato da una tavola, c’è un altro divano letto, dove dormono Chiara e il marito. «Non c’è ora, perché lavora con il Comune, fa le pulizie all’ospedale di Ponticelli» dice. E, mentre risponde proprio a lui al telefonino Nokia di quelli vecchi, spiega che Ciro esce la mattina alle cinque, torna a pranzo, poi ritorna al lavoro per rincasare la sera. Giusto per la cena e la televisione, che è a ridosso dell’angolo cucina. Oltre i venti metri quadri, c’è solo un soffietto che introduce nel piccolo bagno. «Certo, mi ci vorrebbero un paio di stanze, magari una camera da pranzo, ma questo ci possiamo permettere e voglio vedere chi riesce a stare chiuso tutto il giorno qui dentro perché c’è il virus».

Cento euro è il fitto mensile. Nelle settimane di lockdown, Chiara ammette che usciva spesso per le stradine dei Quartieri, che non sopporta le mascherine, che riusciva a farsi tinta e capelli ospitando in casa un’amica parrucchiera. Anche Patrizio non riusciva a stare fermo, ma non si allontanava molto. Per fortuna, ora fa la prima elementare alla «Paisiello», poco lontano. È chiusa, le lezioni vanno seguite a distanza. Ma qui l’Adsl è solo una parola incomprensibile. «Va al centro, va lì a studiare» dice Pina. 

È una fortuna che ci sia il «progetto educativo ambientale» con finanziamenti pubblici. È uno dei tanti progetti che l’Associazione Quartieri spagnoli, una realtà d’impegno sociale da 40 anni, ha messo in campo per i ragazzi e i disagi di un’area dai tanti problemi. Patrizio ci va con altri 55 bambini. La mattina dalle otto a mezzogiorno, il pomeriggio dalle 15 alle 17. Nella sua casa di 20 metri quadri lo ha riaccompagnato anche Maria Rosaria Sgobbo, una delle educatrici del progetto che lavora a tempo pieno, insieme con altre nove persone, alle attività dell’Associazione Quartieri spagnoli.

«Con il tablet fornito dalla scuola, Patrizio può collegarsi da noi con la maestra da remoto. È una possibilità prevista da un altro progetto» spiega proprio Maria Rosaria Sgobbo. Mascherine, Amuchina? «Di soldi ce ne sono pochi, non abbiamo diritto al reddito di cittadinanza, perché mio marito prende quelle poco più di mille euro al mese» spiega Chiara. E racconta: «Dopo il matrimonio, stavamo nel mio paese Pozzuoli, ma il fitto di 4-500 euro era troppo per noi. E siamo venuti qui, io avevo 31 anni. In quattro, ci stringiamo». E mostra una foto con i figli piccoli: oltre Pina, ce ne sono altri due - un maschio e una femmina - che vivono altrove. Durante il lockdown, arrivavano i pasti della Caritas, destinati a chi ai Quartieri ha meno possibilità. E non sono pochi. Per quello che viene fatto bastare, c’è la salumeria vicina. Tutto a pochi metri e la struttura chiusa dei Quartieri ha favorito le passeggiate, stare fuori, girare anche con i divieti da Covid. «Ci riuscite a stare tutto il giorno in quattro, qui?» chiede Chiara. E torto non gli si può dare. 

Poi ricorda, con orgoglio: «Quando venni qui, l’assistente sociale mi presentò alla presidente dell’Associazione Quartieri, Annamaria Stanco, e collaborai al suo progetto sui bambini nei nidi. Fu una bella cosa». Era il progetto «Nido», con le mamme del quartiere volontarie, che a turno tenevano i bambini piccoli per le altre. Si fa presto a dire lockdown o zona rossa, se si ha una bella casa grande. Dice Chiara, senza toni lamentosi, con sguardo aperto: «Quando apriamo i letti la sera, lo spazio per muoverci non c’è. Ma di giorno facciamo in modo di alternarci e stiamo più fuori. Ma la mascherina non la sopporto, non riesco a respirare. Il virus? Nessuno l’ha preso, anche se viviamo così attaccati e mio marito lavora. Ci sarà anche andata bene, ma nessun parente si è infettato». E sorride. 

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Il Mattino