Sa di beffa il sesto prospetto di calcolo del riparto disposto dalla curatela fallimentare della Deiulemar compagnia di navigazione, la società fallita nel maggio del 2012...
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La vicenda è legata allo Sporting Poseidon, il complesso sportivo di via Benedetto Cozzolino. Un complesso frazionato in quattro lotti di cui tre (quelli che comprendevano piscina coperta, campi da tennis e la struttura che attualmente ospita la sala bingo) sono stati venduti nel corso di svariate aste. Aste che hanno portato liquidità nelle casse del fallimento gestito dai curatori Alfonso Iovane, Vincenzo Di Paolo e Paola Mazza, denaro che però non può essere stornato agli obbligazionisti. Sull'intera struttura infatti erano attive ipoteche da parte della Popolare di Bari che vantava crediti nei confronti della fallita compagnia armatoriale. Insomma, sin dalle prime battute era chiaro che da quella vendita non sarebbero venuti fuori i soldi necessari a soddisfare le legittime richieste degli obbligazionisti. Ma vedere adesso finire gli oltre 2,2 milioni di euro lontano dalle tasche degli investitori, lascia il magone. Come finiranno allo stesso istituto di credito anche i ricavi relativi alla vendita dell'ultimo lotto non ancora iscritto a bilancio, quello comprendente tra l'altro sala ristorante e piscina scoperta.
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Ma se gli obbligazionisti sono costretti a vedere andare altrove i soldi ricavati dalla cessione dello Sporting Poseidon, con la progressiva attenuazione delle misure di contenimento legate all'emergenza Covid e la ripresa delle attività giudiziarie, i creditori guardano con fiducia ai fronti ancora aperti. Se appare ancora lontano una pronuncia in merito alla vertenza instaurata con la Bank of Valletta (contro la quale è stato eseguito un decreto di sequestro conservativo che sfiora i 400 milioni), meno per le lunghe dovrebbe durare la «caccia» al trust presente in Svizzera e che conterrebbe (il condizionale è d'obbligo in questa vicenda che presenta ancora lati oscuri) qualcosa come una decina di milioni riconducibili all'universo creato dagli armatori attraverso prestanomi e conti all'estero. E vicina a una svolta, stando alle voci di dentro, sarebbe anche la vicenda che ha portato la curatela Deiulemar a chiamare in causa gli organismi di controllo, quelli che negli anni che hanno preceduto il crac multimilionario avrebbero dovuto vigilare sui conti del gruppo, autorizzato a contrarre prestiti obbligazionari per soli 40 milioni ma che invece ne aveva introitati quasi 18 volte di più. Leggi l'articolo completo su
Il Mattino