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Lo strappo stavolta è insanabile. Difficile immaginare che si possa ricucire il rapporto tra il ministro Dario Franceschini e il governatore della Campania, con frizioni esplose tra i due dem con il caso Teatro San Carlo e il contratto al direttore generale. Questa volta le esternazioni sotto forma di dileggio del presidente Vincenzo De Luca hanno preso di mira Annalisa Cipollone, capo dell'ufficio legislativo del ministero della Cultura, difesa a spada tratta dal suo superiore che ha chiesto al governatore pubbliche scuse per le «battute offensive, aggravate da un sapore maschilista». De Luca però ha replicato piccato tramite i social: «Nessuno ha offeso nessuno. Trovo di una ipocrisia insopportabile l'abitudine a nascondersi dietro il politicamente corretto». Per poi ribadire che ad adirarlo è stata «la mancata leale collaborazione tra istituzioni», nodo centrale dello strappo tra i due. Sul tavolo della discussione però c'è il futuro della Campania e la legge di stabilità regionale per il 2022 approvata a dicembre, con le osservazioni inviate dalla dirigente Cipollone in particolare contro l'articolo 26 comma 1, che prevede «la riduzione a metà dei termini per l'approvazione delle varianti agli strumenti urbanistici comunali».
Le dichiarazioni in diretta Facebook del governatore De Luca nascono da un richiamo burocratico che brucia. «Dovremmo correre e invece dobbiamo fare i conti con dirigenti come la dottoressa Cipollone. Abbiamo approvato in Consiglio regionale alcune misure di semplificazione che riguardavano la riduzione del tempi per approvare alcune varianti urbanistiche, la proroga del piano casa, interventi in zone Asi.
«L'avvocato Annalisa Cipollone, Capo Ufficio Legislativo del Ministero della Cultura, è una professionista di straordinaria competenza giuridica, della cui collaborazione io sono particolarmente orgoglioso. Il presidente De Luca dovrebbe cercare di utilizzare argomenti giuridici per rispondere alle 18 pagine di parere sulla legge 31/21 della Regione Campania, anziché usare battute offensive, aggravate da un sapore maschilista, di cui credo farebbe bene a scusarsi». Le parole del ministro della Cultura Franceschini sono poche e chiare, ma De Luca gli replica poco dopo respingendo al mittente ogni richiesta e accusa. «Nessuno ha offeso nessuno», esordisce, insistendo che «è in discussione la mancata leale collaborazione tra istituzioni, quando si mettono in circolazione atti senza un minimo di confronto preventivo» segnale di una mancanza di dialogo del ministero con la Regione. De Luca respinge la visione maschilista e accusa: «Ricordo che il rispetto e la valorizzazione delle donne occorre affermarlo quando si decide la delegazione dei ministri nel governo». E poi arriva in ultimo la stilettata sulla vicenda San Carlo: «Chieda scusa ai tanti disoccupati e alla povera gente nel momento in cui il soprintendente al San Carlo proposto dal Ministero, decide vergognosi aumenti di stipendio, del tutto immotivati e non tollerabili».
Di battute infelici, il governatore De Luca ne ha dette molte. Nel 2016 replicò a Rosy Bindi, all'epoca presidente della Commissione Antimafia che lo definì «impresentabile», come «impresentabile sotto tutti i punti di vista»; un anno dopo chiamò «chiattona» Valeria Ciarambino, all'epoca capogruppo del M5S in consiglio regionale, mentre ormai per lui Giorgia Meloni è «la Vispa Teresa». Nell'ottobre del 2020, mentre iniziò la seconda ondata, chiamò «mammine con bambini Ogm cresciuti col latte al plutonio» le componenti delle associazioni contrarie alla Dad.
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