I killer li hanno aspettati sotto casa pazientemente, forse avvisati da uno specchiettista che ha segnalato la loro presenza nel quartiere. Si sono appostati vicino...
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Era parcheggiata, i due stavano per scendere quando sono arrivati i sicari. Mele e Palumbo erano morti all'istante, non avevano avuto nemmeno il tempo di provare a scappare o a ripararsi. Le pallottole li avevano colpiti alla testa e al torace sul lato destro del corpo. Il luogo dell'agguato è proprio nel cuore di quella che fu la roccaforte dei Capitoni quando erano nel periodo di massima influenza. Carlo Lo Russo, ex boss e protagonista della sanguinosa guerra coi clan del centro storico napoletano, e attualmente collaboratore di giustizia, abitava a pochi passi. Proprio alla seconda traversa, invece, è ritenuto il quartier generale di Pasquale Angellotti, Linuccio o cecato, ex fedelissimo dei Lo Russo che ora sarebbe il punto di riferimento di un altro gruppo criminale, scissione del vecchio clan. Le due vittime, entrambe pregiudicate, hanno diversi precedenti.
Palumbo era stato condannato nel novembre 2015 a quattro anni per usura ed estorsione, reati commessi a Firenze. Mele, conosciuto come Tonino o animale, aveva scontato una condanna ad otto anni per associazione di stampo mafioso, divenuta definitiva nel 2015; era stato coinvolto nell'inchiesta che, nel 2010, aveva portato a 50 ordinanze di custodia cautelare in carcere contro il clan Lo Russo. Precedentemente era stato arrestato nel 2009, quando, sorvegliato speciale e soggetto all'obbligo di soggiorno nel comune di Napoli, i carabinieri lo avevano scovato in un ristorante di Pozzuoli, dove stava partecipando al ricevimento per il matrimonio di un affiliato ai Capitoni. L'ultimo colpo al clan di Miano, probabilmente quello decisivo, era stato inferto da carabinieri e polizia a novembre. Le indagini, coordinate dalla Direzione Distrettuale Antimafia, avevano ricostruito la rete di fornitura e spaccio di stupefacenti, svelato gli organigrammi della cosca e portato a 43 arresti, con accuse, a vario titolo, per associazione mafiosa, traffico di stupefacenti e detenzione e porto di armi comuni e da guerra. Quelle ordinanze andavano a colpire gli eredi dei Lo Russo, che stavano cercando di ricompattarsi dopo che faide, agguati, omicidi e i pentimenti dei capi avevano fatto traballare l'impero fino a farlo capitolare. L'arresto di Carlo Lo Russo, nell'aprile 2016, aveva dato il via alle guerre di successione. Si erano fatti avanti i vari gruppi che operavano nelle zone che prima erano dei Lo Russo, tra nemici ed ex amici, che avevano visto in quel vuoto di potere l'occasione per emergere. Era il caso dei Nappello, che si erano smarcati dal clan e avevano costituito un gruppo autonomo, con base a Miano. E in questo meccanismo si inquadrerebbe l'omicidio di Carlo Nappello e del nipote omonimo, uccisi nel maggio 2017 nel quartiere della periferia nord napoletana, e la serie di agguati falliti registrati nei mesi successivi. Anche il duplice omicidio di ieri, questa una delle ipotesi al momento seguita dagli investigatori, trovare una spiegazione simile. È possibile, infatti, che Palumbo e Mele, dopo la vicinanza ai Capitoni, avessero scelto di cambiare aria, affiancandosi a qualche personaggio emergente della malavita locale. Forse si erano avvicinati proprio al gruppo di Angellotti, che in quella strada ha la sua roccaforte. In quest'ottica, il loro omicidio potrebbe essere riconducibile sia agli scontri tra i vari gruppi, ma c'è una pista che gli investigatori non escludono: a premere il grilletto potrebbe essere stato qualcuno che, malgrado le manette e il pentimento dei vertici, sia rimasto ancora legato al nucleo originale dei Lo Russo.
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Il Mattino