Raffaele Imperiale, 42 anni, il re Mida della droga degli scissionisti, il broker latitante a Dubai finito al centro di una maxi-inchiesta dell'Antimafia su narcotraffico e...
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Imperiale racconta in un memoriale la sua storia, ammette le accuse che gli contestano i magistrati della Dda napoletana, nomina due difensori rendendo così possibile la celebrazione del processo a suo carico e mette a disposizione degli inquirenti i beni acquistati da lui e da Mario Cerrone, suo socio, con i milioni del narcotraffico. «Riconosco le mie responsabilità e intendo adoperarmi per ostacolare attività illecite e sottrarre risorse decisive per la commissione di ulteriori reati» scrive al pm Marra che nei giorni scorsi ha firmato l'avviso di conclusione delle indagini preliminari, atto che traghetterà l'inchiesta verso il processo. La Procura ha chiesto infatti il rinvio a giudizio dei narcos in affari con gli Amato-Pagano e ora si attende la fissazione dell'udienza preliminare. Imperatore sarà tra gli imputati ma non sarà fisicamente presente. Sfugge all'arresto, e resta nel suo rifugio dorato di Dubai.
Origini stabiesi, figlio di un imprenditore, Imperiale subisce il fascino della malavita. Tra il 1997 e il 1998 ad Amsterdam apre un coffe shop che gli rende sempre di più, ma mai come i traffici di droga che intraprende con i clan di Scampia. L'incontro lo racconta nel memoriale. Sembra quasi casuale. Un uomo del clan entra nel suo negozio e gli commissiona ecstasy. Dopo un mese gliene chiede ancora, e così di mese in mese il rapporto si consolida. Fino a quando si passa dalle forniture di pastiglie ai carichi di cocaina. Anche qui il caso sembra fare la sua parte. Succede che a un appuntamento davanti a un bar di Secondigliano per la consegna di ecstasy Imperiale chiede di un certo Piero o Lello rispettando le indicazioni ricevute, ma si imbatte in qualcuno che invece di portarlo dal suo acquirente abituale lo conduce direttamente al cospetto di Raffaele Amato, il boss, il quale gli impone di trattare da quel momento solo con lui. «A partire dal 2007 io, Mario Cerrone e i vertici del clan Amato-Pagano avevamo una cassa comune da destinare all'approvvigionamento dello stupefacente il cui ammontare - scrive Imperiale - era mediamente nell'ordine di 20/25 milioni di euro. Dopo l'arresto dei vertici la cassa è venuta meno». Leggi l'articolo completo su
Il Mattino