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È stato ascoltato pochi giorni fa dalla polizia giudiziaria e la sua testimonianza la dice tutta sulla difficoltà di recuperare un gioiello come Villa Ebe a Pizzofalcone. Lui, il funzionario titolare dei lavori per conto di Napoli servizi, ha fatto riferimento a lavori iniziati, ma anche interrotti, a causa di una serie di criticità: tra queste l’impossibilità di accedere ad alcuni locali del gioiellino che svetta a Pizzofalcone, perché i varchi risultano ostruiti (probabilmente da detriti accumulati, degrado e abusi); oppure perché appartengono ad alcuni privati (evidentemente poco collaborativi).
Sì, d’accordo - ha spiegato il manager - la messa in sicurezza di alcuni locali interni alla villa concepita da Lamont Young è stata ultimata. Ma si tratta di interventi che servono a poco se il resto della struttura resta in balìa dell’incuria, al punto tale che si rischia di vanificare la disponibilità dei fondi pubblici. Già, i finanziamenti pubblici: esiste una informativa di pg, nell’ambito dell’inchiesta sulle condizioni di degrado della villa dell’architetto vissuto a Napoli, in cui si fa esplicito riferimento al bando internazionale «fondo C40», emesso nel 2022 e che rischia - come ogni gara internazionale - di perdere i propri finanziamenti. Ma la storia di Villa Ebe è solo uno dei capitoli legati alle condizioni di degrado in cui versano alcuni siti architettonici o edifici monumentali a Napoli.
Uno scenario che ha spinto di recente la Procura di Napoli a firmare un protocollo di intesa con Comune e Sovrintendenza, in un impegno che vede in prima linea lo stesso prefetto di Napoli Michele di Bari.
E torniamo al caso di Villa Ebe. Partiamo del blitz della Procura, ormai risalente a tre anni fa. Di fronte alle condizioni di abbandono, il pm Giugni firma il provvedimento di sequestro. Un’azione preventiva - si legge - che dà di fatto inizio a una sorta di dialettica con le istituzioni. Serve un restyling e, in più di una occasione negli ultimi tre anni, la Procura ha anche firmato il dissequestro, per garantire interventi di manutenzione e di messa in sicurezza. Ma da allora, siamo ancora a metà dell’opera. Ed è il direttore dei lavori di Napoli servizi a ribadire il concetto.
Lo ha fatto al cospetto dell’autorità giudiziaria, provando a ricostruire il perimetro dei propri interventi: sono stati messi in sicurezza alcuni locali, ma la strada è lunga. Motivo? Alcuni varchi risultano inaccessibili, in un groviglio di criticità su cui si attendono soluzioni amministrative. Ci sono zone che incidono su beni privati, mentre in altri casi l’ammasso di detriti non garantisce l’accesso. Tutto qui? Verrebbe da chiedere. Bastano questi intoppi per non portare a termine un’opera di riqualificazione di un bene monumentale, per altro nella zona più panoramica di Napoli? Domande che spingono Procura e Comune a intervenire, alla luce del recente protocollo firmato per la salvaguardia dei beni comuni. Non un atto formale, ma uno strumento capace di rendere efficace l’azione di recupero di Villa Ebe, all’insegna delle rispettive zone di responsabilità: a chi tocca rimuovere ostacoli per la bonifica di Monte Echia?
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