Ercolano, il cacciatore diventato un killer: «Cambiato dopo il furto dell'auto»

Ercolano, il cacciatore diventato un killer: «Cambiato dopo il furto dell'auto»
Un uomo schivo, riservato, chiuso nel suo mondo. Il lavoro, la famiglia. E le armi. Pistole e fucili che custodiva come reliquie nella sua abitazione, per usarle nelle battute di...

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Un uomo schivo, riservato, chiuso nel suo mondo. Il lavoro, la famiglia. E le armi. Pistole e fucili che custodiva come reliquie nella sua abitazione, per usarle nelle battute di caccia. È questo il ritratto di Vincenzo Palumbo che viene fuori dai racconti, dalle indagini, dall'intricato mosaico di un'inchiesta che riannoda i fili di una storia tanto assurda quanto terrificante. Il cinquantatreenne è l'uomo che avrebbe ammazzato con sei colpi di pistola Giuseppe Fusella e Tullio Pagliaro. Il sospettato numero uno, il cacciatore che avrebbe mirato a due giovani che stavano chiacchierando sotto casa sua, è un incensurato. Non ha mai avuto problemi con la giustizia. Lavora come camionista per una ditta di trasporti che serve tutta l'Italia. Ogni settimana macina migliaia di chilometri al volante del suo Tir, prima di tornare a casa, da sua moglie e sua figlia. Nel tempo libero va a caccia. Per questo ormai decenni fa ha conseguito il porto d'armi, cominciando a collezionare fucili e pistole. A fidarsi di loro. E proprio nei campi vesuviani, andando alla ricerca di cacciagione, ha affinato la sua mira. Finora senza mai sgarrare, senza mai usare quelle armi per ferire, intimidire o minacciare.


Una passione pericolosa associata, però, a un carattere complicato. «È sempre stato un uomo riservato, non lo vedevamo quasi mai, era sempre fuori città per lavoro. Ma non ha mai avuto problemi con nessuno da queste parti», raccontano i vicini mentre la Scientifica prova a mettere insieme gli indizi sul luogo del delitto. Un uomo insospettabile che da un mese sarebbe piombato in un tunnel di rabbia e paura. Tutto è cominciato a settembre, quando alcuni ladri gli hanno portato via l'auto. La vettura era parcheggiata nei pressi della sua abitazione, il casolare della periferia costruito dai genitori di sua moglie 50 anni fa, dove ieri sono stati ammazzati Tullio e Giuseppe. Una vecchia utilitaria alla quale, evidentemente, era molto affezionato. Chi lo conosce racconta di una vera e propria ossessione che per giorni, settimane ha covato nell'animo dell'uomo. E sarebbe stata proprio quella la molla in grado di far scattare il raptus. Almeno è questa la principale pista investigativa alla quale lavorano gli inquirenti. La paura di essere derubato o peggio rapinato era diventata un tarlo che batteva nella sua testa.



Mentre Vincenzo per ore raccontava la sua verità davanti ai magistrati della Procura di Napoli, davanti alla caserma Dante Iovino di Torre del Greco si disperavano la moglie Maria e la figlia, poco più che ventenne, studentessa universitaria come Giuseppe Fusella. Le due donne sono rimaste fino a tarda sera nella sala d'attesa della caserma, ad aspettare la decisione del pm sul decreto di fermo per duplice omicidio volontario scattato in serata. Mamma e figlia si tengono strette in un abbraccio per darsi forza. Hanno lo sguardo stanco di chi si porta dietro le immagini della notte più lunga di tutta una vita. Intanto in serata Francesco Pepe, legale di Vincenzo Palumbo, farà sapere che il suo assistito «è enormemente dispiaciuto del tragico epilogo, chiede scusa ai familiari ed è profondamente addolorato. Restiamo in attesa che le autorità giudiziarie facciano il loro decorso».
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Il Mattino