Erano stati i primi ad abbassare le saracinesche delle loro attività e a lanciare l'allarme sul rischio di una pandemia. Ora che la comunità cinese di Napoli e...
OFFERTA SPECIALE
OFFERTA SPECIALE
OFFERTA SPECIALE
Tutto il sito - Mese
6,99€ 1 € al mese x 12 mesi
Poi solo 4,99€ invece di 6,99€/mese
oppure
1€ al mese per 3 mesi
Tutto il sito - Anno
79,99€ 9,99 € per 1 anno
Poi solo 49,99€ invece di 79,99€/anno
La maggior parte delle attività commerciali cinesi, oltre il 90% sul totale delle imprese in Campania, hanno riaperto i battenti dal 18 maggio. La necessità di «recuperare il danno economico è evidente anche nel comparto degli imprenditori orientali» spiega Zhiqiang che molti conoscono con il nome adottivo di Salvo. «Le attività sono state riaperte per consentire la ripresa della nostra economia che ha subìto dei danni notevoli, considerando anche lo stop anticipato rispetto agli altri - spiega il portavoce cinese - abbiamo anche registrato alcuni furti, specie in provincia, che hanno ulteriormente peggiorato le condizioni della ripresa». I cinesi possono contare su una clientela che è ritornata nei loro negozi ma «che non spende più come prima, perché gli utenti acquistano l'indispensabile e molti esercenti si trovano in grande difficoltà con i fitti». «Ormai è passata la paura che aveva indotto inizialmente le persone a disertare il commercio cinese - aggiunge Salvo - però dobbiamo farei i conti con l'assenza di aiuti economici da parte del governo e le spese da sostenere dopo uno stop delle attività così prolungato».
LEGGI ANCHE Coronavirus mondo, 183 mila nuovi casi
I ritmi e gli orari di negozi, megastore e ristoranti, sono quelli di sempre e i locali cinesi come tutto il resto del comparto commerciale si sono adeguati alle indicazioni in materia di sanificazione e distanziamento. Non mancano rimedi fai da te come la presenza frequente di teli di plastica con cui sono state isolate le aree deputate alla cassa o la distribuzione di gettoni numerati per controllare il numero di persone all'interno dei punti vendita. «Abbiamo fatto un accordo con le imprese di sanificazione private per garantire che tutte le attività commerciali fossero igienizzate come previsto dalle norme di legge e gli attestati sono esposti all'esterno di negozi e ristoranti - afferma Zhiqiang - oltre questo, ci muniamo di mascherine e guanti». I dispositivi di protezione vengono anche venduti rigorosamente made in China. Nella maggior parte degli store il prezzo di una mascherina chirurgica è un euro, mentre le mascherine Ffp2 generalmente con la valvola vengono vendute ciascuna al prezzo di 4 euro.
«Le misure di sicurezza non vanno allentate - aggiunge Salvo - abbiamo l'esempio di Pechino dove si sono riattivati dei focolai e fin dall'inizio abbiamo sostenuto che la mascherina dovrebbe essere obbligatoria sempre, proprio come in Cina». L'appello somiglia a quello di fine febbraio. «Abbiamo paura per la riapertura dello stadio San Paolo, dei cinema e dei luoghi che comportano un assembramento» confessa il portavoce della comunità cinese che prima di tutti aveva lanciato l'allarme sui grandi rischi legati al contagio del Coronavirus. «La nostra comunità ha adottato una strategia di isolamento e stretto monitoraggio di tutti i suoi componenti, per cui oggi possiamo dire di non aver avuto nessun ammalato, almeno in termini di ricovero - continua il 47enne - per questo motivo, chiediamo di stare più attenti perché il pericolo non è scomparso, invece vediamo le persone che si comportano come se il Covid non esistesse più». Leggi l'articolo completo su
Il Mattino