L'università Federico II è in subbuglio. Al centro le modalità del ritorno in aula nel prossimo anno accademico. Discussioni che hanno visto anche...
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LE LINEE GUIDA
Riflessioni su che didattica proporre in ateneo sono arrivate da Valeria Pinto, docente di Filosofia teoretica, che ha voluto sottolineare in particolare come la didattica blended con parte degli studenti in aula e parte a casa possa creare una profonda trasformazione del paradigma della didattica. «Occorre fare distinzione tra didattica di emergenza che noi docenti abbiamo portato avanti in questi mesi, e altro» interviene Melina Cappelli, ricercatrice di Statistica al Dipartimento di Scienze Politiche che pure appoggia il documento. «Se c'è ancora l'emergenza dovremmo fare tutti lezioni a distanza, se non c'è emergenza allora ritorniamo in aula. L'impressione è di trovarsi di fronte all'accelerazione di un cambiamento che rischia di diventare sistemico e di trasformare le università pubbliche in atenei in parte telematici, il tutto affermando si torna in aula. Credo - continua Cappelli - che sarebbe stato necessario un confronto ampio in primis in seno al senato accademico invece le linee guida ce le siamo ritrovate con tutte le loro ambiguità». Uno dei motivi principali per cui i docenti si oppongono alla didattica blended, è la presenza di videocamere in aula.
LA DIDATTICA
«Per noi la didattica in presenza è la forza dell'Università prosegue Cappelli - è ciò che permette la reale crescita culturale e personale degli studenti. Una telecamera che inquadra la mia nuca, con problemi di luminosità e audio che insistono nelle aule, che valore può portare a uno studente?». C'è poi la questione di privacy, poiché la videosorveglianza sul posto di lavoro è vietata dalla legge. «Rivendichiamo il diritto d'autore sulle nostre lezioni, che può essere ceduto all'ateneo solo con nostro consenso, e in particolare il diritto all'integrità dell'opera e quindi a non vedere le nostre lezioni ridotte in pillole; diciamo quindi no anche alla messa online o al riutilizzo delle nostre registrazioni» precisa la ricercatrice. Senza contare che «a differenza di quanto si sostiene, non è una didattica inclusiva, è poco efficace, non accettabile dal punto di vista lavorativo e poco solida giuridicamente. Chiediamo quindi che a tutti gli studenti siano garantite le medesime condizioni di fruizione e di interazione. Il blended, nella forma proposta, è una strada che non bisogna imboccare». Leggi l'articolo completo su
Il Mattino