Garibà, l'integrazione dietro le sbarre: «Io, detenuto modello lavo la cella per tutti»

Garibà, l'integrazione dietro le sbarre: «Io, detenuto modello lavo la cella per tutti»
Di nome si chiama Garìba, Livingston di cognome. Per tutti è Garibà, Garibaldi, il nomignolo che detenuti e guardie hanno scelto per lui. Legge una lettera...

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Di nome si chiama Garìba, Livingston di cognome. Per tutti è Garibà, Garibaldi, il nomignolo che detenuti e guardie hanno scelto per lui. Legge una lettera carica di emozione, si commuove quando parla di fede e rinascita, guarda i compagni di cella del padiglione Roma di Poggioreale e sorride. Ha 29 anni, viene dalla Nigeria, è arrivato in Italia a bordo di un gommone, parla correntemente inglese e francese e sogna un lavoro. È un detenuto modello e presto sarà trasferito in una comunità terapeutica dove sconterà quel che resta della pena. Un po' meno di due anni che deve alla giustizia per aver spacciato droga.


Garibà è uno dei cento detenuti che partecipa al Progetto IV Piano - detto così perché al quarto piano del padiglione Roma - prima esperienza in Italia di una struttura intermedia diurna che realizza attività socio-riabilitative, all'interno di un carcere, per i detenuti tossicodipendenti. Una iniziativa al terzo anno di attività, coordinata dalla dottoressa Marinella Scala, responsabile del centro Palomar - in collaborazione con la direzione di Poggioreale - che completa l'impegno del Coordinamento dipendenze della Asl Napoli Centro diretto da Stefano Vecchio.
 
La vita di Garibà non è mai stata facile: «Sono cattolico, lo erano anche i miei genitori. Li hanno sterminati sotto i miei occhi costringendomi a scappare. Ho visto torturare i bambini, violentare le donne, uccidere senza pietà. Sapevo - racconta il giovane detenuto - che l'unica alternativa era lasciare la mia terra». Così, a bordo di un gommone, sei anni fa è arrivato in Italia. Prima tappa Bari, seconda Torino, terza Napoli: «Niente documenti e niente lavoro - prosegue Garibà - finire in un brutto giro è stato molto facile. Ho cominciato con un po' di eroina, piano piano sono diventato uno spacciatore, per fortuna mi hanno arrestato, è stata la mia salvezza e ringrazio Dio di essere qui a Poggioreale».

Padiglione Roma, quello che ospita chi ha commesso reati collegati all'uso di sostanze stupefacenti. Ed è qui che gli operatori del Progetto IV Piano lavorano per il loro recupero. Cinque laboratori - lettura, teatro, musica, scrittura creativa e attività sportive - e uno sportello che accoglie, analizza e avvia le procedure per le misure alternative alla detenzione: 75 nuovi carcerati sono già stati trasferiti nelle comunità terapeutiche. Ieri mattina, nel corso dell'evento conclusivo del primo semestre dell'anno, è stato anche presentato un nuovo progetto: il giardino dentro, ovvero un'area verde attrezzata per la socializzazione all'aperto dei detenuti.

Una festa in piena regola, quella nella chiesa del Padiglione Roma, alla quale hanno partecipato anche il direttore generale della Asl Na1 Mario Forlenza, la direttrice di Poggioreale Maria Luisa Palma e il presidente del Tribunale di sorveglianza Adriana Pangia insieme con tutti gli operatori e gli educatori del progetto. Caterina Vitale, conduttrice del laboratorio di lettura Fiumi di parole non ha dubbi: «Garìba è straordinario, ha una cultura e una sensibilità un po' speciali che gli hanno fatto guadagnare l'affetto da parte di tutti, a cominciare dai detenuti».


E Garìba spiega anche il perché: «Voglio bene ai miei compagni e sono contento di fare qualcosa per loro. Non mi costa niente pulire la cella e allora lo faccio sempre io. Loro ricambiano con l'affetto che mi danno. Anche le guardie mi trattano bene e io prego per loro perché senza l'aiuto di Dio - prosegue il giovane nigeriano - non andiamo da nessuna parte». Ottima condotta e tanta voglia di una nuova vita. Le giuste condizioni per lasciare il carcere di Poggioreale e proseguire la detenzione in una comunità terapeutica: «Gli operatori del progetto mi hanno detto che faranno una colletta per raccogliere i soldi del biglietto per la Sardegna dove c'è la comunità che mi aspetta. Io sono pronto, il peggio è passato, aspetto solo di tornare libero per trovare una moglie e un lavoro onesto». Leggi l'articolo completo su
Il Mattino