I confini tra memoria e storia spesso diventano baratri incolmabili, se i ricordi di fatti e persone non si ravvivano di continuo. La memoria di Giancarlo Siani è...
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Un giovane con i suoi sogni e le sue illusioni ed è normale che migliaia e migliaia di ragazzi, a Napoli come in tante altre parti d’Italia, si identifichino in lui. Il suo sorriso è rimasto, purtroppo, fissato in quello di un ragazzo di 26 anni. I suoi articoli, raccolti per intero in libri, ne mantengono attuale il pensiero e l’impegno professionale. Pochi sanno dire chi lo uccise: gli assassini sono dei morti, nel ricordo di tutti. Lui, invece, continua a vivere come esempio di vita e coerenza. L’ingiustizia di una fine tragica ha moltiplicato le scuole intitolate a Giancarlo, ha il suo nome la sala del Consiglio regionale. Chissà oggi cosa scriverebbe lui delle «paranze dei bimbi», o delle «stese, della frenesia di una criminalità cittadina giovanissima, sfilacciata, ultra flessibile. Lui che scrisse dei «muschilli», i bambini utilizzati come piccoli spacciatori dai clan. Certo, la camorra che lui raccontava 31 anni fa era cosa diversa.
Era la camorra spietata della provincia, quella dai rituali mafiosi, dalla rigida organizzazione piramidale d’impronta familiare. Mafia con strategie mirate, come zittire un giornalista per un articolo sgradito. Dal dopoguerra, otto giornalisti uccisi in Sicilia, uno in Campania: Giancarlo Siani, appunto. Anche in questa proporzione c’è tutta l’eccezionalità della storia di Giancarlo. Dopo 31 anni, far diventare memoria, sempre più condivisa, la storia di una persona non è facile in un Paese che ama rimuovere e cancellare. Giancarlo è invece memoria continua, ogni anno fecondata da linfa nuova: associazioni, intitolazioni, iniziative, premi, ora anche un murales al Vomero, il suo quartiere.
Almeno quattro generazioni di alunni delle scuole superiori campane conoscono il sorriso di quel ventiseienne, ne hanno appreso la storia.
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Il Mattino