Giancarlo Siani, l'impegno di don Palmese: «Pronti a salvare il murale dal degrado, i simboli vanno curati»

Giancarlo Siani, l'impegno di don Palmese: «Pronti a salvare il murale dal degrado, i simboli vanno curati»
«Da domani avvieremo un monitoraggio attento e capillare di tutte le installazioni e i murales sul tema della legalità, a cominciare da quello di Giancarlo Siani in...

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«Da domani avvieremo un monitoraggio attento e capillare di tutte le installazioni e i murales sul tema della legalità, a cominciare da quello di Giancarlo Siani in via Romaniello. Faremo la nostra parte». Don Tonino Palmese, presidente della Fondazione Polis, vicario episcopale della Curia nei settori Carità e Giustizia, confessa di essere rimasto colpito dalle immagini dell'opera di street art dedicata sei anni fa al giornalista del Mattino, proprio nei luoghi dov'è cresciuto e dove è stato ucciso, e ridotta oggi a una pellicola scolorita di muffa e degrado.

Che sensazioni ha provato?
«Mi lasci dire che la denuncia pubblica sulle condizioni in cui è ridotta l'opera dedicata a Giancarlo Siani ci dà l'occasione di fare una riflessione più approfondita su questi simboli. Non basta collocarli, bisogna poi prendersene cura. Continuare a dargli dignità nel tempo, perché anche la cura diventa a sua volta un simbolo».

In che senso?
«Bisogna dare costantemente la sensazione che siamo presenti, che seguiamo le cose che facciamo, e che queste non sono delle attività estemporanee. Se dopo una cerimonia, se dopo un'opera dedicata a un tema della legalità, a una vittima, a un fatto importante, poi ce ne dimentichiamo, si produce un danno grande alla necessità che abbiamo, costantemente, di convincere le persone a starci accanto».

Lo stato di abbandono di un'opera dedicata alla legalità rischia di diventare controproducente rispetto agli obiettivi stessi che l'opera si era data?
«Certo, è chiaro. Noi siamo impegnati in una battaglia permanente per convincere i cosiddetti buoni a stare in campo. Non abbiamo solo il problema di combattere il male ma anche quello di non far stancare gli onesti. Bisogna convincere la parte sana, la parte buona della società, a resistere, a prendere posizione, a non scoraggiarsi visto che può accadere di sentirsi sconfitti».

Il degrado delle opere può essere demotivante?
«Un po' come succede con i beni confiscati. Se, dopo che lo Stato li ha tolti ai criminali, li lascia deperire, morire nel degrado, quale messaggio si lancia? Che alla fine quella battaglia non è importante. Un segnale di debolezza. Non possiamo permetterlo. Per questo ci attiveremo anche come Fondazione Polis».

In che modo?
«Sul murale di Siani di via Romaniello prenderemo contatti con tutti i soggetti e, insieme a loro, visto che ci sono già delle idee e delle proposte, proveremo a smuovere le acque, ad agire rapidamente. Ma quella opera, pur importante, non è la nostra sola preoccupazione. Giancarlo riscuote grandissima simpatia nelle persone. Le opere che lo raffigurano, soprattutto quella poi nel suo quartiere, grazie all'impegno di tanti amici e familiari, sono in qualche modo protette, anche nella denuncia del degrado. Ma che cosa sta succedendo alle opere che ricordano altre vittime? Ci sono alcuni che hanno meno popolarità, i cui eventi hanno fatto meno parlare. Forse non hanno familiari e amici in vita, o non hanno assunto il significato di quelli più conosciuti. Chi se ne occupa? Dobbiamo fare di più. La questione deve essere ancora più larga di quanto denunciato sul murale di Siani. Domani stesso ho intenzione di mettere la fondazione al lavoro».

In che direzione?
«Un monitoraggio di tutte le opere che ricordano vittime della criminalità sul nostro territorio. Dove sono, quali sono, in che condizioni sono. Dobbiamo costruire una mappa, e poi agire per proteggerle e tutelarle».

Se qualcuno le dicesse che sono solo simboli e non meritano tutto questo lavoro?
«Sbaglierebbe. I simboli, nella lotta alla criminalità, sono una grande questione che riguarda la cultura del male e quella del bene. Abbiamo condotto una battaglia per la rimozione dei simboli di camorra, quei dipinti sui muri, collocati non per commemorare un caro perduto ma per indicare l'eroicità di una condotta, che invece è negativa. È la grammatica della camorra, che dice che loro agiscono così, che sono fieri di farlo».

Lo stesso significato che, dalla parte opposta, diamo ai simboli della legalità?


«Esattamente. Noi con murales e opere ricordiamo la persona, il suo sacrificio. Ma indichiamo anche un valore, una condotta, che, dal punto di vista del bene, è prova di onestà. Sono promemoria, segnali morali. Se dopo averli allestiti, li lasciamo deperire, che messaggio mandiamo?».  Leggi l'articolo completo su
Il Mattino