In occasione della Giornata della Memoria, gli studenti del Liceo statale «Elsa Morante» di Scampia e del Liceo statale «Don Lorenzo Milani» di...
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«Io credo che ciascuna delle persone sopravvissute in Germania sia libera solo in apparenza, credo che il suo corpo sia libero, ma il suo cervello sia rimasto prigioniero in quei lager dove ha visto morire milioni di persone. Purtroppo non basta una vita intera per dimenticare».
Fatina Sed è una bambina di 13 anni quando, una mattina lei la madre le sorelle e il fratello, vengono arrestate dai soldati tedeschi e deportate ad Auschwitz. E' lei stessa a raccontarlo, a cinquant'anni di distanza, nel diario ritrovato dalle nipoti. Fatina non riesce a raccontare, il resto della sua esistenza è chiuso nel silenzio.Il dialogo e il silenzio, tra chi ha vissuto l'Olocausto e chi è totalmente lontano, anche nel ricordo, da un mondo che è solo Storia.
Le figlie di Fatina scopriranno il segreto della madre solo alla sua morte, solo dopo la scoperta del diario. Fatina ha taciuto, ha nascosto alle figlie parte della sua vita. Il silenzio del dolore che la protagonista vive dentro di sé è cura verso l’altro; silenzio che custodisce dentro di sé l’indicibile. Quel silenzio rappresenterà per le figlie una mutilazione.
L’esperienza del dolore, dell’annullamento delle identità, della mancata considerazione, del rispetto dell’altro e delle diversità, permette di riportare l’attenzione e la riflessione delle nuove generazioni a momenti storici che rappresentano l’origine di quel processo di disumanizzazione e di desensibilizzazione dell’educazione all’altro.
Attraverso la lettura del testo, le alunne e gli alunni dei Licei hanno affrontato un tema non sempre analizzato: quello del dolore non solo della generazione che ha subito l’Olocausto ma anche quello delle generazioni successive. Attraverso un’analisi del documento storico, fonte diretta che si avvale della testimonianza in prima persona di una vittima dell’Olocausto (si tratta, infatti di un diario scritto dalla protagonista, Fatina Sed, al termine della seconda guerra mondiale), hanno analizzato le implicazioni psicologiche e il trauma che accompagnerà la protagonista fino alla morte. Trauma che però non si arresterà alla morte di Fatina ma coinvolgerà anche le generazioni successive come una sorta di “malattia ereditaria” che si trasmette.
Il lavoro di ricerca svolto dagli studenti è rivolto all’analisi dell’epoca delle passioni tristi e della società liquida. Attraverso l’attualizzazione delle esperienze storiche, la tesi della ereditarietà del dolore, li ha portati a considerare la storia non come discontinuità ed evento a se stante ma come strumento di conoscenza e memoria. In tal senso l’opera narrativa assume, quindi, una molteplicità di punti di applicazione per una educazione ai sentimenti. Leggi l'articolo completo su
Il Mattino