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E pur si muove, verrebbe da dire, a giudicare dal calendario di udienze aggiornato di recente. Prossima data il 19 aprile, quarta corte di assise appello (presidente Vescia), ritorna in aula il giallo che infiammò la cronaca degli anni dieci di questo secolo: a sparare e uccidere Mariano Bacioterracino è stato lui o no? Parliamo di Costanzo Apice, il presunto killer con il berrettino, con il neo e il sorriso beffardo, almeno secondo le carte della Procura. Strana storia, la sua. Diventa famoso su scala planetaria per quel video pubblicato per volontà della Procura (che non riusciva a dare un nome all'uomo con la pistola), poi amplificato grazie al web: uno dei primi casi di scene pulp diventate virali grazie alla rete. Eppure, sul caso del delitto di via Vergini, a distanza di 12 anni siamo ancora in alto mare.
Su Apice e sulla sua presunta cerchia di soci le indagini non sono mai finite. Un delitto, una storia. E un caso che si riapre di qui a pochi giorni, almeno per capire come andarono i fatti in quel remoto pomeriggio dell'undici maggio del 2009, sotto lo sguardo neutro di una telecamera di sicurezza. Vicenda controversa, a partire dalle sentenze collezionate - in un percorso lento e tortuoso - dall'imputato Costanzo Apice (difeso dall'avvocato Claudio Davino): condanna all'ergastolo in primo grado, condanna all'ergastolo in appello, lo stop della Cassazione, che rimanda gli atti a Napoli. Non c'è la certezza piena sul killer con il cappellino e con il movimento del braccio rallentato (sembra assumere la postura di una persona che ha una difficoltà nell'articolazione degli arti, al punto tale da dare l'impressione di mostrare le corna alla vittima). Non c'è la certezza che le fattezze di Apice siano sovrapponibili a quelle dell'uomo col berretto e pistola. Esami antropometrici a parte, le carte vengono rispedite a Napoli, dove Apice ottiene la scarcerazione per questa vicenda per decorrenza dei termini di fase di custodia cautelare (ma resta saldamente inchiodato in cella, perché sta scontando l'ergastolo come esecutore materiale del delitto Grimaldi). Da allora, dallo stop della suprema Corte, ad oggi sono passati anni.
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Un processo rimasto nel limbo, un giudizio perennemente in sospeso (anche perché per questa vicenda Apice è a piede libero), roba da cimitero dei processi.
Anche qui, la scena è controversa, dal momento che i giudici hanno scagionato in via definitiva Antonio Moccia, non ravvisando elementi concreti per portare avanti un processo nei suoi confronti come mandante del delitto Bacioterracino.
Restano tante suggestioni, tanti punti da esplorare attorno a quel delitto immortalato - uno dei primi in Italia - da una telecamera e trasformato in una delle scene più cliccate nel web.
Ma proviamo a fare chiarezza. Secondo la ricostruzione della Procura (ripetiamo: non confermata dai giudici), Bacioterracino viene ucciso come vendetta fredda per il suo ruolo nel delitto di Moccia senior; ad agire non ci sarebbero solo gli scissionisti di Secondigliano (di cui Apice è un killer), ma anche altri soggetti. Nomi da sempre al vaglio della Dda, che potrebbero tornare in auge, sotto i riflettori della quarta corte di assise d'appello, quando la partita si riaprirà in Tribunale. Nomi di soggetti che hanno preso parte all'agguato, alla copertura logistica dei killer (Apice sarebbe stato accompagnato da una spalla, rimasta anonima), fino ad assicurargli protezione. Ma in questa storia c'è un altro retroscena rimasto misterioso che potrebbe riattualizzarsi, ora che il fascicolo torna a muoversi dopo anni di stasi: è il caso del ruolo di Gennaro Sacco, ucciso nel novembre del 2009, assieme al figlio Carmine, in un agguato chirurgico. Tra il delitto di Bacioterracino e il duplice omicidio di Gennaro e Carmine Sacco potrebbe esserci una connessione, un contatto su cui continuare a scavare.
Ma chi era Gennaro Sacco e che c'entrava con la storia del rapinatore ucciso ai Vergini? Era il boss dei Sacco-Bocchetti, uno di spessore criminale. Ma aveva un vizio d'origine, secondo l'ottica distorta di boss e gregari: in passato era stato agente di polizia, un ex sbirro, ruolo che non gli hanno perdonato quando il caso del video choc era esploso grazie all'avvento del web.
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