Oltre cento roghi al giorno. Una superficie boschiva di cento ettari in fumo, con conseguenze disastrose per flora e fauna. E i piromani padroni del territorio. Si consumò...
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La vicenda giudiziaria che chiama in causa l’attuale dirigente del Servizio Generale per la Protezione Civile Massimo Pinto, ed il suo predecessore (fino al 2016) Italo Giulivo, si riferisce proprio alle attività di ufficio di competenza dei settori amministrati. Ai due professionisti i magistrati inquirenti della sezione Ambiente e Territorio della Procura di Napoli contestano l’abuso di ufficio, il concorso in incendio colposo e la devastazione colposa. Reati che, secondo la Procura, si sarebbero configurati proprio nei giorni in cui il Parco del Vesuvio si trasformò in un inferno di fiamme, fumo e morte. Incalcolabili quei danni prodotti da delinquenti e piromani.
Per questo i pubblici ministeri partenopei coordinati dal procuratore aggiunto Nunzio Fragliasso (titolare del fascicolo è il sostituto procuratore Francesca De Renzis) vogliono vederci chiaro. Su un punto, soprattutto: i due alti dirigenti della Regione operarono con la massima diligenza e fecero quanto era nelle loro prerogative per evitare il disastro? A far scattare le indagini sono state alcune copiose e dettagliatissime informative dei carabinieri del comando provinciale di Napoli sui fatti che portarono al disastro ambientale.
C’è, soprattutto, da chiarire un punto: gli organi della protezione civile regionale avrebbero dovuto, già ben prima che esplodesse l’emergenza. Secondo la Procura gli strumenti normativi e regolamentari esistevano, come pure si sarebbe dovuta applicare la convenzione stipulata con i Vigili del Fuoco in esecuzione di una legge regionale: la numero 12 del 22 maggio 2017 sul «Sistema di Protezione Civile in Campania». I termini di quell’accordo, per quanto chiari e - secondo l’accusa - né Giulivi né il suo successore Pinto li avrebbero applicati per tutelare il Parco del Vesuvio.Quella convenzione e lo stesso piano rimasero, insomma, solo sulla carta, questo sospetta la Procura.
Naturalmente ricordiamo, come sempre, che l’iscrizione nel registro degli indagati, così come la notifica di una informazione di garanzia, non è assolutamente u’anticipazione di condanna. È solo un atto dovuto. E i due dirigenti coinvolti avranno la possibilità di chiarire le rispettive posizioni davanti ai magistrati. Nei prossimi giorni i due dirigenti regionale saranno ascoltati dal pubblico ministero.
Le alte colonne di fumo che si alzarono l’estate del 2017 lungo le falde del Vesuvio, quegli infernali bagliori notturni delle fiamme che divoravano ettaro dopo ettaro gigantesche porzioni di bosco e macchia mediterranea restano ancora negli occhi di tutti. Fu un disastro ambientale di enormi proporzioni. Fatevi pure un’idea: 8,7 chilometri quadrati furono polverizzati, un’area pari al 10 per cento di tutta Manhattan; mentre altri sette finirono con il subire danni significativi, senza contare le grandi quantità di ceneri derivanti dalla combustione di decine d’ettari di macchia mediterranea che si dispersero nell’ambiente.
Di qui l’intervento della Procura: secondo la quale per la vastità del fenomeno degli incendi dolosi e per le gravissime conseguenze che furono in grado di produrre adesso vuole vederci chiaro. Leggi l'articolo completo su
Il Mattino